La seguente intervista con il fondatore di STWR, Mohammed Sofiane Mesbahi, esamina sia le implicazioni politiche contemporanee sia quelle spirituali più profonde della condivisione delle risorse mondiali in relazione alla crescente emergenza climatica, partendo da una discussione programmatica sulla rilevanza del principio della condivisione per passare poi all’Accordo di Parigi e ai negoziati sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, esplorando successivamente una linea “interiore” di indagine sulle ragioni più profonde per cui le nostre società moderne non hanno ancora abbracciato un modo di vita ambientalmente sostenibile. Nel suo insieme, questo dialogo ad ampio raggio funge da introduzione alla visione pionieristica di Mesbahi sull’impegno civico di massa per raggiungere un ordine globale più giusto, equilibrato ed equo.
Prefazione dell'editor
Prefazione dell'editor
La seguente intervista con Mohammed Sofiane Mesbahi è stata inizialmente condotta durante la conferenza climatica di Parigi nel dicembre 2015 - il primo vero accordo per affrontare il cambiamento climatico. Dopo quattro anni, le opinioni proposte nella nostra discussione prolungata - ora presentata come libro per un pubblico più ampio - sono, in molti modi, più pertinenti che mai.
Mentre gli impegni dell’Accordo di Parigi stanno per entrare in vigore dopo il 2020, la consapevolezza della crisi climatica è cresciuta drammaticamente. Allo stesso tempo, l’attivismo locale ha improvvisamente occupato la prima pagina di giornali e TV, sorprendentemente guidato da una giovane studentessa scioperante. Va notato che Mesbahi ha anticipato la necessità di tali mobilitazioni popolari in questa intervista, chiedendo ai cittadini comuni di protestare attraverso manifestazioni massicce e continue che spingono i governi a spostarsi verso un’economia a missioni zero in risposta a un’emergenza planetaria.
Tuttavia l’impasse nei negoziati climatici delle Nazioni Unite non è sostanzialmente cambiata dal 2015. Ad esempio, i gruppi della società civile continuano a sostenere il principio di equità come “il primo passo per l’ambizione climatica”, ma i paesi più ricchi stanno ancora manovrando per eludere le loro giuste quote dell’azione globale necessaria. I grandi inquinatori corporativi ancora ostacolano il progresso nei negoziati, e il mondo continua ad essere dipendente in prevalenza dai combustibili fossili, senza segni di riduzione negli anni a venire. Tutto ciò irride il consenso scientifico secondo cui dobbiamo dimezzare le emissioni globali nel prossimo decennio per mantenere la temperatura entro il limite di sicurezza di 1.5°C. Tuttavia ancora rimaniamo sulla rotta per un catastrofico aumento di 3°C entro la fine del secolo.
Sebbene questi problemi fondamentali siano delineati nella Parte 1, va ribadito che la vera importanza del libro oltrepassa questa iniziale discussione legata alla politica. In effetti, ci sono voluti molti anni per convincere Mesbahi ad essere intervistato sulla posizione generale di STWR sulla politica internazionale climatica. Questo era in gran parte dovuto alla sua lunga e profonda avversione ad essere intervistato in qualsiasi forma. Ma è anche perché considera la controparte spirituale alla nostra comprensione della più ampia crisi ambientale - in seguito descritta come “CO2 interiore” - l’importanza molto maggiore. Il lettore è quindi incoraggiato a intraprendere una linea molto diversa d’indagine, una che potrebbe portarci a una consapevolezza maggiore dei motivi più profondi per cui la società moderna non ha ancora fatto la transizione verso modi di vita più equi e sostenibili.
Questo dialogo ad ampio raggio, nel complesso, funge da introduzione alla visione pionieristica di Mesbahi dell’impegno di massa rivolto a una causa unita per la condivisione delle risorse del mondo. I temi perenni sollevati nel corso dell’intervista formano la base di ulteriori scritti che sono pubblicati come parte di una serie in corso intitolata Studi sul Principio della Condivisione, che si trova su www.sharing.org.
Londra, Regno Unito, settembre 2019
Parte I: Una giusta transizione attraverso "una ripartizione
equa degli obblighi"
Quale è il tuo verdetto sull’Accordo di Parigi - è giustificato definirlo un “considerevole balzo in avanti per l’umanità” e “il più grande successo diplomatico del mondo”?
I plaudenti titoli di giornale non esageravano del tutto dato che un trattato internazionale sul clima è stato finalmente siglato dopo il drammatico fallimento nel concordare un accordo universale a Copenhagen sei anni fa. Il linguaggio adoperato per parlare dell’obiettivo di mantenere la temperatura globale a non più di un grado e mezzo più alta rispetto ai livelli pre-industriali è una dimostrazione di quello che hanno prodotto due decenni di ricerca scientifica meticolosa e di sforzi per la promozione del clima. Alla luce di questi 21 anni di stallo e, spesso, di negoziati faziosi penso che questo sia un obiettivo sorprendentemente ambizioso che ha colto di sorpresa anche la comunità scientifica.
C’erano anche motivi per acclamare i negoziati come un successo ora che gli obiettivi sono stati fissati attorno ai contributi determinati previsti a livello nazionale (INDCs) di ogni nazione. Questi sono i primi piani di riduzione delle emissioni sotto la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (in inglese United Nations Framework Convention on Climate Change da cui l'acronimo UNFCCC o FCCC) che si applicano sia ai paesi in via di sviluppo che a quelli sviluppati, costituendo la base ufficiale di un quadro globale post-2020. Dal punto di vista della valutazione più ottimistica, il fatto che abbiamo ora un obiettivo a lungo termine per ottenere uno zero netto di emissioni di gas serra entro la seconda metà del secolo, ci offre almeno una scadenza entro cui agire sebbene con molte preoccupazioni da parte dei gruppi della società civile sulla quantità di uso delle tecnologie a emissioni negative. Il fatto che i paesi in via di sviluppo, tra cui la Cina e l’India, abbiano preso gli impegni più ambiziosi, significa anche che ci sono segnali che la geopolitica della leadership globale ha iniziato a spostarsi, e il Sud è disposto a incrementare i suoi sforzi di mitigazione nonostante la riluttanza del Nord a “prendere l’iniziativa” con determinazione.
Se il trattato ci porterà più vicini a un ordine mondiale giusto e sostenibile è un’altra questione. Nonostante l’obiettivo ambizioso delle emissioni di 1.5°C, non esiste un piano d’azione per come realizzare queste riduzioni collettive a breve termine. Anche se gli INDCs attuali saranno raggiunti entro il 2030, vari studi hanno mostrato che staremo ancora avviandoci verso un pianeta di 3 o 4°C più caldo, portandoci a punti critici estremamente pericolosi. Sorprendentemente, il testo introduttivo al trattato stesso lo ammette, affermando che saranno necessari sforzi di riduzione delle emissioni ben maggiori se vogliamo affrontare il divario significativo fra le promesse di mitigazione del COP 21 e le emissioni aggregate in linea con l’obiettivo di 2°C. Nulla impedisce alle nazioni di rinnegare i loro già insufficienti impegni, il che nella storia dei negoziati multilaterali delle Nazioni Uniti lascia poco spazio all’ottimismo.
Come previsto, l’unico elemento vincolante dell’accordo è che ogni nazione presenti regolarmente obiettivi aggiornati sui progressi fatti. Potrebbe essere un documento legalmente vincolante a livello internazionale come parte dell’UNFCCC, ma non c’è più la responsabilità legale per i paesi ricchi di fornire finanziamenti per aiutare i paesi poveri ad adattarsi al cambiamento climatico, per non parlare di obiettivi legalmente vincolanti per significativi tagli alle emissioni di carbonio. Quindi, in realtà, che l’Accordo di Parigi sia stato salutato come “ambizioso” e “politicamente storico” non è che la triste prova della nostra incapacità odierna. In questo rispetto, possiamo anche osservare uno straordinario parallelismo con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile concordati nel settembre 2015, che promettono una “fine alla povertà dappertutto” entro il 2030 fra altri ambiziosi obiettivi ambientali, ma senza meccanismi sanzionatori o mezzi credibili per attuare tali risultati.
Dal suo punto di vista a Share The World’s Resources, è interessante notare che il concetto di “ripartizione equa” sia ora diventato uno slogan all’azione nei dibattiti sul cambiamento climatico. Qual è, secondo lei, la rilevanza del principio della condivisione rispetto all’Accordo di Parigi e ai negoziati del COP in generale?
L’idea della condivisione sta emergendo come tema chiave in molte aree del pensiero politico e dell’attivismo odierno, in particolare nel lavoro di advocacy (sostegno e difesa) della società civile sul cambiamento climatico. Questo non dovrebbe sorprenderci, poiché i principi di correttezza ed equità sono riconosciuti senza dubbio nella Convenzione sul Clima delle Nazioni Unite, in quanto i Paesi dell’Appendice l dovrebbero prendere l’iniziativa nella riduzione di emissioni rispettando il diritto allo sviluppo sostenibile dei Paesi dell’Appendice ll, incluso il diritto dei paesi meno sviluppati a ricevere sostegni finanziari e tecnici. Come condividere la responsabilità per mantenerle emissioni globali di carbonio entro i limiti scientificamente accettati, e su base giusta ed equa, è sempre stato al cuore del processo del COP. Il principio epocale di equità delle responsabilità comuni ma differenziate e delle loro rispettive capacità (CBDR-RC) sancisce questo riconoscimento, basato sulla premessa essenziale che tutti gli stati sono responsabili di affrontare il problema del riscaldamento globale, eppure non ugualmente responsabili, perciò evidenziando le profonde questioni morali che causano cosi tante contestazioni e divisioni da quando sono iniziati i negoziati nel 1992.
Ma quel principio è stato praticamente abbandonato del tutto nell’Accordo di Parigi, che è un significativo passo indietro. I principali paesi industrializzati hanno intrapreso con successo una campagna contro il principio di equità scegliendo di determinare i loro obiettivi su base puramente nazionale attraverso gli INDCs, e senza alcun riferimento alla portata dello sforzo globale necessario per rimanere entro l’obiettivo di 1.5°C. Ciò cancella effettivamente la loro responsabilità storica e scoraggerà azioni efficaci da parte di tutti i paesi negli anni a venire. Uno degli obiettivi principali degli Stati Uniti in particolare era quello di indebolire la lingua nel testo relativo alla “perdita e al danno”, in modo da non essere responsabili del risarcimento obbligatorio per gli impatti climatici nei paesi poveri.
Per quanto riguarda il finanziamento climatico per aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi e mitigare gli effetti del clima, era già chiaro che l’obiettivo di raccogliere $100 miliardi all’anno è tristemente inadeguato e solo una piccola parte di questa somma è stata raccolta. Ma il nuovo linguaggio nel testo sulla finanza climatica, cioè “volontario” e “condiviso fra tutti i paesi”, sposta ulteriormente il peso della responsabilità sui paesi poveri. Si prevede che i finanziamenti dai fondi pubblici garantiti saranno relativamente limitati, e c’è il rischio aggiuntivo che questi finanziamenti verranno deviati dal flusso di aiuti esistenti. La maggior parte dei finanziamenti futuri dovrebbero venire dai nuovi meccanismi di mercato come le compensazioni di carbonio ma così si rischia una eccessiva dipendenza dagli investimenti privati, poiché c’è poca speranza che i governi mobilitino ulteriori fonti di entrate che confluiscano direttamente nei fondi climatici delle Nazioni Unite, come le tasse sulle transazioni finanziarie o un sistema progressivo di tassazione del carbonio.
Molti di questi punti sono stati trattati in modo molto più dettagliato da osservatori della società civile, ma ciò che dovrebbe essere ovvio è che l’esito della COP21 non riflette in nessun modo i principi della condivisione e della giustizia in una vera forma. Solo gli attivisti nelle sale delle conferenze sembravano abbracciare una visione di ciò che veramente significa equità nell’affrontare la crisi climatica attraverso azioni urgenti a breve termine e cambiamenti trasformativi e sistemici. È interessante notale che il pensiero della società civile sulle “ripartizione equa” ha fatto progressi significativi negli ultimi anni, basandosi su un budget globale di carbonio che tiene conto della responsabilità storica e delle ripetizioni delle emissioni per i singoli paesi. Ma i governi del Nord si sono ora allontanati ancora di più dall’accettare il bisogno di un nuovo paradigma per l’equa condivisione dello spazio atmosferico sempre più ristretto del mondo e, per tanto, la prospettiva di sancire un budget di carbonio molto ambizioso in un trattato sul clima giuridicamente vincolante è, ahimè, ancora un sogno.
Può spiegare più dettagliatamente l’importanza di un budget di carbonio nella formulazione di una soluzione equa per prevenire livelli pericolosi di riscaldamento globale?
Nonostante i fallimenti attuali del multilateralismo e delle inadeguatezze dei negoziati della UNFCCC, secondo me, è fondamentale che la visione per un accordo equo sul clima sia sostenuta dai gruppi dagli attivisti e dai analisti progressivi, in conformità con la conoscenza scientifica più recente. La questione di un budget globale di carbonio è centrale per questa visione, siccome rivela quanto carbonio può essere emesso nell’atmosfera senza violare i limiti massimi concordati a livello internazionale sul riscaldamento globale. Quindi se la quota rimanente è divisa correttamente ed equamente, sorgono una serie di domande urgenti su come condividere il restante spazio atmosferico fra le nazioni del mondo, particolarmente rispetto ai diversi livelli di sviluppo fra il Nord ed il Sud del mondo.
Si discute del budget del carbonio da molti anni fra NGO e accademici, ed è ora scientificamente ben stabilito in seguito al quinto rapporto di valutazione dell’IPCC, che ha pubblicato una valutazione del budget per i diversi limiti di temperatura basati sui dati fino al 2011. L’ONU ha stimato che circa 1 trilione di tonnellate di carbonio possono essere emesse nell’atmosfera per avere una prospettiva decente di rimanere entro il limite dei 2°C, poi ridotte a circa 800 miliardi di tonnellate in considerazione di ulteriori fattori di riscaldamento o altri gas a effetto serra. Di questa somma, l’IPCC ha calcolato che abbiamo già consumato più di 500 miliardi di tonnellate a causa delle emissioni di carbonio dell’attività umana dall’inizio della rivoluzione industriale, il che significa che almeno metà del budget è già stata usata. Continuando così, si prevede che quantità rimanente di carbonio verrà esaurita entro 2 o 3 decenni.
Tuttavia, vari studi hanno aggiornato queste valutazioni e calcolato che abbiamo ancora meno anni a disposizione per rimanere entro il limite di 1.5°C. È ben accettato nelle comunità della scienza tradizionale e delle ONG che 2°C non rappresentano una soglia adeguatamente sicura per prevenire il cambiamento climatico “pericoloso”, eppure la maggior parte degli scenari di lavoro fino ad oggi si è concentrata su limiti di 2°C o 3°C, e la scienza è meno affidabile al limite più sicuro di 1.5°C. Potrebbero rimanere meno di 5 anni di emissioni di CO2 a livelli attuali prima di superare la soglia dell’1.5°C, e anche ciò ci da una probabilità di meno del 66% di evitare il rischio di oltrepassare il punto di non ritorno e di severi impatti sul cibo e sulla sicurezza umana. Va notato che la probabilità del 66%, considerata una probabilità “possibile” nella terminologia dell’IPCC, è altamente discutibile e se applichiamo un livello di rischio del tipo ritenuto accettabile in altre aree dell’attività umana, diciamo del 90% o superiore, allora non rimane veramente nessun budget di carbonio per mantenersi al di sotto di 1.5°C.
Vale anche la pena sottolineare che le stime dell’IPCC sono estremamente complesse a causa delle diverse ipotesi e metodologie utilizzate, e ci sono molte incertezze sui processi di feedback che amplificano o riducono il riscaldamento che vediamo nell’atmosfera, da qui il bisogno di varie ipotesi di rimanere al di sotto di una certa temperatura, nessuna delle quali può essere garantita. Spesso vengono pubblicati nuovi studi che trovano le stime dell’IPCC troppo generose, e che il budget totale di carbonio potrebbe essere sovrastimato fino al 200%.
Le implicazioni politiche, economiche e sociali sono enormi quando pensiamo a come applicare un tetto, definito a livello scientifico e concordato a livello internazionale, al totale delle emissioni globali, e a poi come distribuire il budget rimanente di carbonio fra le nazioni o la popolazione. È già chiaro dai dati ufficiali dell’ONU che la sfida di limitare le emissioni anche alla soglia di 2°C è straordinaria. Una condivisone equa degli sforzi di mitigazione e finanziari per raggiungere questi scopi richiederà sacrifici maggiori dei Paesi dell’Appendice l, una rinnovata attenzione ai bisogni critici in campo sociale ed economico delle nazioni in via di sviluppo, e un grado di cooperazione internazionale senza precedenti nella storia umana. Ma come ho detto, sembriamo ancora lontani dal riconoscere la vera portata di questa grande sfida di civiltà. I leader politici a Parigi non sono riusciti nemmeno a discutere un budget totale di carbonio come base per stabilire obiettivi e condividere sforzi, mentre le società di combustibili fossili sono ancora agevolate quando investono ingenti somme nello sviluppo di nuove riserve che renderanno impossibile mantenere le temperature entro un budget sicuro.
Potrebbe per favore, spiegarci come dovrebbe essere un livello veramente equo e ambizioso di cooperazione internazionale paese per paese. Quali sono i risultati specifici del pensiero attuale della società civile su come tradurre i principi della condivisione, della giustizia e dell’equità in un regime climatico multilaterale?
I gruppi della società civile hanno considerato a lungo questa questione partendo però dibattito sul “debito climatico” nei circoli attivisti che sono saliti alla ribalta durante il vertice di Copenhagen del 2009. Il problema è come sviluppare un ambizioso regime climatico “alla luce dell’equità e della migliore scienza disponibile”, a lungo accettato come principio nella Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e riaffermato dai leader del mondo nell’Accordo di Parigi, ma non ancora tradotto in un quantitativo quadro globale. Numerosi NGO hanno quindi esaminato come rendere operativi i principi di base di equità della Convenzione, in cui sono i fondamentali concetti di emissione storiche e di responsabilità storica.
Una delle caratteristiche comuni delle varie proposte in considerazione è la preoccupazione per la giustizia economica in qualsiasi approccio alla protezione del clima, da cui nasce il bisogno di un quadro di condivisione degli sforzi basati sull’equità che salvaguardi il diritto allo sviluppo sostenibile per i paesi nel Sud del mondo. La politica dei negoziati del COP ha dimostrato che questa non è solo una priorità etica, ma la base stessa del realismo geopolitico e l’inizio di una crescente ambizione ambientale - un punto che è stato ben discusso da molti osservatori della società civile.
Nel rispettatissimo quadro dei Greenhouse Development Rights (Gdr), per esempio, i diritti allo sviluppo nell’ambito della riduzione dei gas serra sono codificati attraverso una “soglia di sviluppo”, cioè un livello di reddito pro capite che non dovrebbe essere preso in considerazione nei calcoli riguardo alla capacità di un paese di affrontare il cambiamento climatico. In altre parole, la capacità di un paese può essere definita come la somma di tutti i redditi, esclusi i redditi al di sotto della soglia di sviluppo. Quest’ultima dovrebbe essere più alta della soglia ufficiale di povertà globale in modo che possa ragionevolmente essere applicata a tutti i cittadini sia del Nord che del Sud, riflettendo un tenore adeguato di vita. L’argomentazione persuasiva è che la gente al di sotto di questo livello di reddito, coloro che non hanno ancora realizzato il loro diritto allo sviluppo, non dovrebbero sostenere l’onere di una transizione climatica.
Per fornire ulteriori spiegazioni riguardo alle inique emissioni storiche fra il Nord ed il Sud, il quadro dei GDR propone anche l’uso degli indicatori di equità per calcolare la responsabilità di ogni nazione e anche la sua capacità totale. Per esempio, la responsabilità storica è calcolata usando i dati delle emissioni cumulative pro capite di gas a effetto serra di ogni paese partendo da una data di inizio concordata, per esempio il 1850 o il 1990, che è modificata per rendere in considerazione la soglia di sviluppo. In questo modo, la ripartizione equa a livello nazionale dello sforzo per la mitigazione globale può essere definita unendo la sua responsabilità e la capacità di ogni singolo paese, generando così un singolo indicatore di obbligo. Il vero potenziale dinamico di un tale indice ovviamente dipende innanzitutto dal budget di carbonico rimasto, per il quale una via indicativa di 1.5°C dovrebbe palesemente essere la base dei negoziati.
La mia breve spiegazione della metodologia del GDR è piuttosto superficiale e incompleta, e consiglierei di fare riferimento alla loro letteratura per comprendere meglio come l’uso degli indicatori di equità possa fornire un sistema quantificabile ed equo per condividere lo sforzo globale fra tutti i paesi. Ma penso che il loro risultato più importante sia la dimostrazione della necessità di un grande impegno cooperativo fra Nord-Sud per qualsiasi piano di mitigazione del cambiamento climatico. I Paesi dell’Appendice l hanno una quota relativamente maggiore di responsabilità e capacità globali che non possono riuscire a soddisfare la loro quota equa di sforzi agendo solamente a livello nazionale. Pertanto sono debitamente obbligati a fornire ai paesi meno sviluppati l’aiuto finanziario, l’accesso alla tecnologia e alla creazione di capacità che sono necessari per raggiungere il loro potenziale di mitigazione, in linea con le loro strategie di sviluppo sostenibile.
Nell’ultima versione di un tale quadro basato sull’equità prima della COP21, una revisione degli INDC è stata in grado di illustrare esattamente fino a che punto le azioni promesse dai paesi più ricchi divergono dalle loro rispettive quote eque di sforzo, e quindi la necessità di un vasto ampliamento dei mezzi di attuazione. Gli INDC degli Stati Uniti e dell’UE, per esempio, rappresentano solo circa un quinto delle loro quote eque. Ma va sottolineato che anche queste stime sono conservative e pragmatiche, basate come sono su un percorso della mitigazione globale di 2°C e con riferimento agli INDC completamente inadeguati, che portano le organizzazioni della società civile a raccomandare un “meccanismo d’accelerazione” che può consentire di prendere impegni più profondi, e possibilmente giuridicamente vincolanti in futuro.
Inoltre, non possiamo aspettarci che i paesi in via di sviluppo accettino una struttura di mitigazione vincolante a meno che i principi della condivisione e dell’equità non ne formino il nucleo. È evidente che l’eliminazione della povertà e lo sviluppo umano possono andare di pari passo con una transizione in stile Piano Marshall verso approvvigionamento energetico a emissione di carbonio zero, in conformità con la realtà scientifica. Non c’è modo di aggirare l’impasse: i paesi del Nord all’inizio dovranno accettare una parte maggiore dell’onere, e di affrontare il loro obbligo per un massiccio trasferimento tecnologico e finanziario per sostenere i paesi poveri nel Sud. Quelle di cui stiamo parlando è una nuova visione della cooperazione internazionale un po’ simile al Rapporto Brandt del 1980.[1] È arrivata l’ora che questo rapporto sia aggiornato per rispecchiare la realtà di un mondo che sta rapidamente superando i limiti ecologici, in cui è necessaria una ridistribuzione delle risorse per affrontare contemporaneamente le crisi sia del clima che della povertà.
Il Rapporto Brandt ha proposto un tipo di Marshall Plan per il Terzo Mondo basato su misure di stimolo globali in stile Keynesiano, ma è possibile che il budget di carbonio rimanente sia diviso equamente, raggiungendo così l’obiettivo di 1.5°C o anche 2°C, senza una contrazione significativa dell’economia globale a lungo termine?
Questa è una domanda a cui non viene data molta importanza nei circoli politici ed accademici principali, in cui la supremazia della crescita economica è raramente contestata. Ma sono d'accordo con la valutazione di base di molti economisti verdi e gruppi di esperti, come il Club di Roma e l’ex commissione per lo Sviluppo Sostenibile del Regno Unito, secondo cui il continuo aumento dell’attività economica globale è in conflitto con i nostri tentativi di evitare il cambiamento climatico pericoloso e di sostenere gli ecosistemi del pianeta. C’è anche l’istituto di ricerca Tyndall Centre nel Regno Unito che ha affrontato questo problema partendo da un’analisi del budget di carbonio, argomentando in modo convincente il bisogno di strategie di “decrescita” immediate e pianificate, di consumi ridotti e di contrazione economica nei Paesi dell’Appendice l.
La loro analisi merita una riflessione, in quanto dimostra come soddisfare gli impegni dei 2°C richiederà ai Paesi dell’Appendice l di decarbonizzare drasticamente la loro economia immediatamente, senza ritardare ulteriormente l’azione fino, ad esempio, al 2020 l’anno in cui inizieranno gli impegni dell’INDC dell’Accordo di Parigi. È solo su questa base che i paesi in via di sviluppo potrebbero essere messi in condizione di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2025, facendo però crescere minimamente l’economia mentre si imbarcano per una rapida transizione per allontanarsi dallo sviluppo alimentato dai fossili. Secondo l’approccio cumulativo del budget di emissioni che il Tyndall Centre ha adottato come base del principio di equità, le nazioni ricche devono ridurre le emissioni dell’8-10% annualmente nei prossimi decenni, il che è un tasso molto più elevato di quello che la maggior parte degli economisti ritiene essere compatibile con un’economia in crescita. Non esiste, infatti, nessun documento storico di alcun paese che sia riuscito a ridurre le emissioni anche del 4% ogni anno senza una profonda contrazione economica. Il rapporto Stern della Commissione per il Cambiamento Climatico del Regno Unito ha memorabilmente osservato che le riduzioni annuali più grandi dell’1% vengono storicamente associate alla recessione o a sconvolgimenti economici.
Da qui la conclusione degli stimati analisti al Tyndall Centre che un periodo pianificato di austerità e di decarbonizzazione rapida è necessario negli Stati Uniti, nell’UE e altre nazioni ricche, per controbilanciare la continua crescita dell’economia e l’aumento delle emissioni nelle nazioni più povere. Non c’e più il tempo per una graduale transizione evolutiva verso forniture di energia a bassa emissione di carbonio, perché potrebbero volerci 2 o 3 decenni per metterla completamente in atto. Quindi, dobbiamo deliberatamente cercare l’equa riduzione del consumo di energia e di risorse, adottando strategie economiche più direttamente redistributive al posto del perseguimento convenzionale della crescita economica.
Questa è indubbiamente una sfida alle supposizioni della globalizzazione laissez-faire, e indica il bisogno di un cambio di paradigma nell’ortodossia economica e una nuova teoria della macroeconomia che vada oltre l’ossessione con la misura del PIL, come discusso ai margini radicali del dibattito pubblico. Aggiungerei anche che l’analisi del Tyndall Centre è ancora molto prudente nelle sue supposizioni, basata come è su un obiettivo di 2°C e non 1.5°C, e solo tenendo conto della probabilità del 50%, che è eccessivamente bassa, come ho osservato prima. Se teniamo conto anche della crescita delle emissioni nel corso dei diversi anni da quando hanno sviluppato i vari scenari, allora i tassi di decarbonizzazione per le nazioni ricche potrebbero essere significativamente più alti anche del 10% annuo, forse tra il 15% e il 20%. Le implicazioni fanno riflettere, a dir poco.
Quali sono alcune di queste conseguenze più ampie se la continua crescita economica a livello globale non è attuabile a causa dei soli vincoli ambientali, senza contare i limiti delle risorse e altri limiti ecologici? Se credi nella creazione di un mondo in cui tutti ottengono la loro parte delle risorse della terra, questo non implica una sorta di convergenza nei tenori di vita fra e in tutti i paesi?
Dal punto di vista di un economista, una delle conseguenze importanti della ricerca e dell’analisi di cui stiamo discutendo è che la supposizione della maggior parte dei responsabili delle politiche che l’intensità di carbonio può essere ridotta sufficientemente per permettere un continuo aumento della produzione, o la cosiddetta crescita “verde” o “sostenibile”, è altamente discutibile. L’idea che possiamo disaccoppiare le emissioni di gas serra dalla crescita economica a lungo termine non è per niente sostenuta dall’evidenza, in quanto è stato dimostrato che il disaccoppiamento permanente e assoluto è raro, se non fittizio. Innumerevoli studi citano il fenomeno dell’effetto di rimbalzo, per cui i guadagni di efficienza tendono ad essere reinvestiti in maggior crescita e consumo, negando quindi i presunti benefici della riduzione delle emissioni.
Inoltre, se consideriamo il fatto che le nazioni ricche esportano effettivamente le loro emissioni e la loro produzione agli altri paesi, allora il quadro è completamente diverso. Una volta che tieni conto di tutte le emissioni basate sui consumi, comprese quelli del trasporto aereo e marittimo internazionale, allora il livello di disaccoppiamento per la maggior parte dei paesi è quasi insignificante, specialmente se rapportato al budget globale di carbonio che sta rapidamente diminuendo. Tutto ciò indica una conclusione altamente controversa, ma penso che sia ovvio presumere che non possiamo continuare a espandere l’economia mondiale anno dopo anno, o universalizzare gli attuali livelli di ricchezza dati per scontati nelle nazioni industrializzate ricche, e al tempo stesso rispettare gli impegni sul carbonio stabiliti a Parigi. Indipendentemente dai guadagni di produttività ottenuti attraverso le tecnologie di efficienza energetica e le energie rinnovabili, riduzioni assolute delle emissioni sulla scala richiesta dipendono anche da una riduzione drammatica del consumo globale di energia. E implicitamente, ciò dipende dall’adozione da parte dei governi di nuovi obiettivi macroeconomici non più basati sulla continua crescita del PIL.
Molto lavoro teorico e di modellazione è stato fatto intorno al concetto di economia allo stato stabile, ma come lei indica nella domanda, il vero problema è come raggiungere e gestire la transizione verso l’equa sostenibilità globale. Non è solo una questione di come condividere equamente il budget delle emissioni globali, o come distribuire i diritti d’inquinamento dell’atmosfera; ci sono anche considerazioni molto più grandi e più difficili su come il mondo naturale dovrebbe essere usato e condiviso. Come possiamo creare un mondo in cui tutti abbiano la propria giusta quota di risorse mentre stiamo già oltrepassando alcuni limiti chiave planetari, e la popolazione mondiale sta rapidamente crescendo? L’analisi dell’impronta ecologica ha fatto alcune scoperte interessanti in questo campo, dimostrando che il nostro fabbisogno per le risorse ha già superato la bio-capacità del pianeta del 50%. Sappiamo anche che è il 20% dei consumatori più ricchi che si appropria della stragrande maggioranza delle risorse globali contribuendo di gran lunga di più al degrado ambientale.
L’ideale della “giusta quota-terra” potrebbe essere piuttosto idealista in questo riguardo, ma svela una verità molto sconveniente: che i paesi ad alto reddito potrebbero dover ridurre la propria impronta ecologica pro capite fino all’80%, se si vuole raggiungere una convergenza dei tenori di vita materiali in tutto il mondo senza violare i limiti ambientali. In questo momento, naturalmente, questo concetto visionario di un mondo convergente appartiene perlopiù a scienziati sociali di alti principi, visto che il mondo continua a divergere in termini della maggior parte degli indicatori di ricchezza e disuguaglianza.
Sembra che come comunità internazionale non vogliamo affrontare le immense conseguenze del conseguimento di una distribuzione equilibrata delle risorse mondiali all’interno della realtà biofisica, in particolare per quanto riguarda i nostri sistemi di governance nazionale che non sono mai stati creati per gestire i problemi internazionali su base di una cooperazione e condivisione autentiche. Direi che è chiaro che le crisi sia del clima che quella più ampia dell’ecosistema stanno forzando le nazioni a ripensare l’intero modello del commercio globale in continua espansione basato sulla crescita economica senza fine e il nostro stile di vita consumistico con un forte impatto sull’ambiente e un grande dispendio d’energia. Ma la questione più grande è: come possiamo realmente iniziare una transizione volontaria verso società più eque, partecipative e ecologicamente resilienti, indipendentemente da tutto il pensiero fatto sulle politiche e sugli strumenti necessari per questo enorme cambiamento sociale?
Torniamo a questa questione dopo. Adesso ritorniamo ai negoziati climatici di Parigi, secondo lei quali sono gli ostacoli principali al conseguimento del tipo di regime multilaterale giusto e ambizioso che ha delineato prima?
L’ostacolo principale è sicuramente evidente per qualsiasi attivista nel movimento di giustizia climatica, siccome i negoziati del COP sono dominati da potenti interessi di parte, mentre i governi ricchi sono politicamente prigionieri delle lobby dei combustibili fossili e della classe imprenditoriale. A dicembre dello scorso anno il vertice di Parigi ha ostentato un livello senza precedenti di sponsorizzazione aziendale rispecchiato nelle sale di conferenza dal rinnovato focus su soluzioni basate sul mercato e guidate dalla tecnologia come per esempio la cattura e lo stoccaggio del carbonio di energia da biomassa. Sembra che i mercati del carbonio sono ora tornati sul tavolo delle discussioni in grande stile, il che suggerisce che i governi credono ancora di poter uscire dalla crisi climatica invece di impegnarsi in una drastica riduzione delle emissioni a breve termine. Le soluzioni reali come la cessazione immediata dei sussidi per i combustibili fossili, passare a sistemi alimentari agroecologici diversificati, rilocalizzare l’economia e pianificare uno spostamento globale basato sul 100% di energie rinnovabili, non erano mai parte dell’accordo.
Penso che la contraddizione al cuore dell’Accordo di Parigi sia evidente alla maggior parte degli osservatori, in quanto la Convenzione impiega un bel linguaggio riguardo alle “profonde riduzioni nelle emissioni globali” o ai “modelli sostenibili di consumo e produzione”, eppure sostanzialmente ignora le radici sistemiche sia politiche che economiche della crisi ambientale. Quindi mentre i governi stavano negoziando un accordo climatico e impegnandosi ad accelerare la riduzione delle emissioni dei loro paesi, stavano anche continuando a negoziare accordi commerciali ambientalmente dannosi, come l’oscuro e subdolo Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP). Secondo documenti trapelati, l’Unione Europea ha bloccato ogni discussione nei negoziati di Parigi su qualsiasi misura che potesse limitare il commercio internazionale, e come sappiamo i molti accordi plurilaterali negoziati a porte chiuse sono orientati verso un aumento significativo dell’import e export di combustibili fossili.
C’è anche una contraddizione chiara in quanto il processo climatico dell’ONU si concentra solo sul lato della richiesta del consumo di combustibili fossili, ma non presta attenzione alla sua produzione. Perciò non era una sorpresa che l’Accordo di Parigi non dicesse nulla dell’enorme spesa per i sussidi per combustibili fossili ogni anno, intorno ai $5 trilioni. Come non è una sorpresa che l’intera idea di mantenere i combustibili fossili nel terreno non sia stata nemmeno riconosciuta nell’accordo finale, nonostante l’enorme quantità di campagne e di sostegno pubblico in merito a questo problema. Anche l’inquinamento del trasporto internazionale è completamente escluso dall’accordo, il che è inconcepibile alla luce del contributo previsto che le industrie della navigazione e dell’aviazione daranno alle emissioni globali nei prossimi decenni.
Per la persona comune di buona volontà che cerca di rendersi conto del senso di questi bizantini negoziati climatici, l’unica ovvia conclusione dovrebbe essere che non possiamo fidarci dei nostri capi di stato la cui agenda è oscurata da quello che descrivo come le forze della commercializzazione. Proprio come non sappiamo cosa succede dietro le porte chiuse di segreti accordi commerciali come il TTIP, nessuno sa cosa viene veramente discusso all’interno del circo aziendale del processo del COP. Chiamo spesso questi leader governativi i nostri politico-ragionieri, perché non appena ritornano a casa, firmeranno immediatamente altri contratti per le principali corporazioni inquinanti i cui interessi invariabilmente difendono.
Per esempio il nostro governo nel Regno Unito ha aderito all’Accordo di Parigi con tanta fanfara, e il giorno dopo ha annunciato ampi tagli ai sussidi per le energie rinnovabili, e ha fatto dietrofront aprendo nuove aree del paese per la fratturazione idraulica, perfino sotto le zone tutelate della fauna selvatica ed i parchi nazionali. Il presidente Obama ha anche revocato un quarantennale divieto per le esportazioni di petrolio greggio pochi giorni dopo la firma dell’accordo di Parigi sul clima, il che era un enorme regalo per l’industria petrolifera e un ulteriore esacerbazione delle emissioni di carbonio. Quindi chi può negare che questi politico-ragionieri nei nostri governi sono completamente in balia dell’ideologia delle sfrenate forze del mercato, e perciò non possiamo spensieratamente fidarci che loro agiscono per nostro conto rispetto a un problema così importante come quello di salvare il pianeta?
Di fronte a queste forze aziendali trincerate e questi potenti interessi acquisiti, cosa possono fare le persone comuni per cercare di indirizzare la politica governativa nella giusta direzione?
Questo è il momento in cui gli attivisti e i cittadini impegnati devono continuamente ed incessantemente organizzare massicce manifestazioni e azioni dirette per costringere i governi a spostarsi verso le economie a carbonio zero come priorità fondamentale. È necessario che il pubblico venga coinvolto nel suo insieme e accetti la necessità della rapida trasformazione sociale, quasi come un enorme boicottaggio del consumismo, dell’idea stessa di tutto “come al solito”. Le ispiranti attività di protesta che abbiamo visto a Parigi durante i negoziati climatici, indipendentemente dal divieto opportunista del presidente Holland sulle manifestazioni pacifiche, è esattamente quello di cui abbiamo bisogno di vedere - anche se su scala molto, molto più grande in ogni città.
Ora dovremmo protestare continuamente in tutto il mondo, non solo una o due volte ogni anno o solo durante la Conferenza dei Paesi Firmatari. Le totali emissioni cumulative sono aumentate ad un ritmo senza precedenti nel nuovo millennio e, come appena discusso, è ingenuo o sciocco credere che i leader mondiali intraprenderanno un’efficace azione di mitigazione senza enorme pressione dai cittadini di tutto il mondo. Non dimentichiamo anche quello che è successo dopo il fallimento internazionale del mercato nel 2008, quando i governi hanno immediatamente messo sullo scaffale le questioni ambientali al fine di salvare le banche che crollavano e far risorgere l’economia. Cosa pensiamo che succederà se c’è un’altra grave crisi finanziaria globale, come prevedono molti analisti di primo piano?
Se osserviamo in modo olistico la scala dei problemi ambientali che affrontiamo, è chiaro che enormi e costanti manifestazioni in tutto il mondo sono la sola soluzione per riordinare le priorità governative. Non è che noi come cittadini dipendiamo dal governo - in realtà è vero il contrario, poiché i governi contano sull’attuale mancanza d’impegno pubblico per poter continuare a dare la priorità ai principali interessi societari e finanziari. Da un’altra prospettiva, i leader mondiali hanno effettivamente svolto il loro ruolo riunendosi e concordando l’obiettivo principale del limite di temperatura dell’1.5°C; ora spetta al pubblico continuare a manifestare ogni giorno e notte fino a quando verrà intrapresa un’azione adeguata per ottenere le necessarie trasformazioni sociali, politiche, economiche e tecnologiche.
Va anche notato che ogni grande manifestazione per l’ambiente non solo fa sentire la sua voce ai governi, ma aiuta a creare una più ampia consapevolezza dell’emergenza ambientale fra la gente. Ha un effetto potente. I mass media hanno un ruolo importante da svolgere nell’istruzione delle persone in questo riguardo, e se parlassero costantemente della necessità di una trasformazione sociale per scongiurare una catastrofe climatica, allora potremmo vedere come le manifestazioni in tutto il mondo diventerebbero monumentali di fronte all’inazione governativa. Ovviamente i mass media principali agiscono raramente in questo modo, con poche eccezioni - come l’azione rivoluzionaria intrapresa dai giornali in tutto il mondo per parlare con una voce comune prima della conferenza di Copenaghen del 2009, quando molti decisero di stampare un editoriale in prima pagina che richiedeva ai governi di condividere l’onere della lotta al cambiamento climatico su una base più equa.[2]
In generale, comunque, i mass media principali non sono riusciti a svolgere il loro ruolo vitale di istruire la gente sulla vera entità e urgenza della crisi climatica. Al contrario, la maggior parte dei media è troppo occupata a diffondere della falsa propaganda per conto dei loro benefattori aziendali e politici, quando non ignorano del tutto la questione. Di nuovo nel Regno Unito, ad esempio, nessuno dei giornali scandalistici - quelli letti dalla maggioranza del pubblico - pubblicò una storia in prima pagina sui negoziati climatici “storici” di Parigi il giorno dopo l’accordo. Eppure questa è una questione che potrebbe determinare la sopravvivenza futura dell’umanità, e richiede cambiamenti sistemici fondamentali dello stile di vita che necessiteranno infine la cooperazione e la partecipazione di tutti.
Negli ultimi mesi e anni, decine di migliaia di persone hanno participato a un’ondata globale di azioni per non estrarre i combustibili fossili, con una richiesta coordinata per una giusta transizione a un’era di energia pulita. Lei vede questa rinascita di manifestazioni, proteste e disobbedienza civile come segno che la gente sta aprendo gli occhi sulla crisi climatica, o c’è ancora molta strada da fare prima di vedere il tipo di movimenti sociali ad ampia base che sta immaginando?
In effetti, da un lato, abbiamo un accordo climatico che non è veramente abbastanza ambizioso. Ma d’altro canto, la gente non è abbastanza ambiziosa. Ad esempio, a settembre del 2014 circa 400.000 persone si sono radunate nelle strade di New York per richiedere che i governi affrontassero la crisi climatica in modo coraggioso, la più grande manifestazione climatica nella storia degli Stati Uniti. Ma ci sono più di 300 milioni di persone in America. Perciò potremmo dire che mentre 400.000 persone erano occupate a protestare, allo stesso tempo c’erano centinaia di milioni di persone che erano occupate a consumare. Lo stesso si può dire delle dozzine di altri paesi in cui grandi manifestazioni climatiche hanno avuto luogo recentemente, ma rimangono relativamente piccole in proporzione alla popolazione nel suo complesso. In verità, il più grande pericolo per l’ambiente non è solo le corporazioni inquinanti o i loro governi indebitati; è anche l’auto-compiacimento o l’indifferenza completa della gente in generale.
Certamente, ci sono molti attivisti impegnati che fanno campagne con maturità e intelligenza sul bisogno di mantenere i combustibili fossili nel terreno, per passare alle fonti energetiche decentralizzate e rinnovabili, per sviluppare un’economia più localizzata e ecologicamente resiliente, per proteggere le terre comunali dalle recinzioni aziendali, e così via. Ma un numero comparativamente piccolo di persone cerca di fare un lavoro che richiede il sostegno dell’intera popolazione. Sono effettivamente sole mentre cercano di fare il lavoro per tutti gli altri, il che non fa senso quando ascoltiamo gli avvertimenti degli scienziati che dicono che stiamo andando verso una catastrofe climatica.
Questi pochissimi attivisti stanno facendo quello che possono per salvare il mondo - il resto è meglio descritto come cittadini consumatori che lasciano i problemi del mondo alle altre persone e ai governi. Perciò potremmo osservare che il governo è eclissato dalle forze della commercializzazione, mentre il cittadino consumatore è eclissato dal proprio auto-compiacimento e dall’indifferenza. In questa realtà noiosa e deprimente, è comprensibile che molte persone attive di buona volontà si sentano stanche e sopraffatte quando cercano di lottare per il bene di tutti.
Gli attivisti ambientali comunque dovrebbero essere consapevoli di un altro fatto, che erano in gran parte le loro attività e manifestazioni globali che hanno costretto i leader del mondo a raggiungere un accordo universale a Parigi, specialmente alla luce del pubblico oltraggio sorto dopo i falliti negoziati sul clima a Copenaghen. La forte critica di Papa Francesco alla disuguaglianza e al sopraconsumo è anche un fattore importante che ha spinto i leader del mondo a prendere atto della voce della gente. Il consiglio del Papa sulla questione ambientale dovrebbe essere ascoltato con molta attenzione sia dai credenti che dagli agnostici, come possiamo vedere nella sua ultima lettera Enciclica che perora la causa della condivisione delle risorse mondiali al fine di risolvere la crisi ambientale.
Quello che il Papa essenzialmente riconosce è che non possiamo combattere i nostri problemi ecologici a meno di non combattere anche le enormi discrepanze nel tenore di vita in tutto il mondo, il che richiede un sentimento di solidarietà e interdipendenza globale che purtroppo manca negli affari umani. I suoi insegnamenti chiariscono che la responsabilità di trasformare la società non spetta solo ai politici dell’establishment, che tendono ad essere guidati da potenti interessi finanziari e in genere non hanno una visione ampia. La vera responsabilità spetta a noi: dobbiamo superare il nostro condizionamento sociale che sostiene uno stile di vita consumistico dissoluto, per sviluppare invece nuovi atteggiamenti verso la vita che rifiutano la mentalità materialistica e il “paradigma tecno-economico” prevalente.[3] Questo può iniziare, suggerisco, riunendoci con i milioni di altre persone li fuori che vogliono un mondo più semplice, più sano e più equo.
Nel corso dei negoziati a Parigi, molti attivisti hanno sottolineato l’enorme divario fra le richieste urgenti della società civile, e la realtà di quei “politico-ragionieri”, come lei li definisce, che costantemente mettono gli interessi dei ricchi e dei potenti prima degli interessi dei più vulnerabili, o infatti di tutta l’umanità. In che modo, secondo lei, questo divario può diminuire per passare con successo all’economia sostenibile - sta dicendo che i gruppi della società civile devono unirsi con una sola voce al fine di generare la volontà politica necessaria per una transizione completa all’energia rinnovabile?
L’ampia visione che abbiamo delineato per un giusto accordo climatico non riuscirà mai ad avere successo fintantoché questi politico-ragionieri detengono le redini del governo, e anche se alla fine accettano queste sensate proposte, ci vorrà un periodo di tempo molto lungo. E il tempo è quello che non abbiamo se abbiamo bisogno di mantenere una concentrazione di gas a effetto serra di 350 parti per milione [ppm] nell’ambiente, quando abbiamo già superato un allarmante 400 ppm. Come hanno chiaramente detto gli scienziati climatici il prossimo decennio è cruciale per intervenire in modo decisivo per limitare il riscaldamento globale, ma sembra che siamo giunti a un punto morto quando vedi questo divario apparentemente incolmabile fra il “realismo” politico e il bisogno di una rapida trasformazione sistemica.
Molte persone credono che la strada da percorrere sia la formazione di un fronte unito formato da movimenti sociali, ONG ambientaliste e di sviluppo, e da tutte le organizzazioni progressive della società civile per sfidare i governi a intraprendere l’azione necessaria. Abbiamo già visto molte iniziative e tanti programmi rivolti a questo scopo ma alla fine dei conti generalmente ammontano a ben poco. Sfortunatamente, queste iniziative non funzioneranno mai a meno che la stragrande maggioranza della gente non sostenga questi gruppi attraverso massicce proteste e pacifiche azioni dirette a cui partecipino letteralmente centinaia di milioni di persone, il che non è attualmente il caso.
Potrebbe anche essere dannoso al lavoro di molte ONG se versassero tutte le loro energie nella lotta per promuovere l’azione governativa sul cambiamento climatico, poiché ci sono cosi tante ingiustizie e sofferenze nel mondo che, per combatterle, sono fondamentali in questo momento le diverse cause di tutte queste organizzazioni. A mio parere, il loro lavoro è sulla stessa direzione di energia dei governi e le corporazioni multinazionali, in cui questi stanno esacerbando la tendenza errata verso ulteriore commercializzazione, divisione sociale e distruzione ambientale, mentre le ONG tirano nell’altra direzione e tentano di migliorare gli effetti dannosi. È invero una lotta, ma una lotta che prende molte direzioni diverse, al punto che tutte le ONG non possono armonizzare le loro forze collettive quando sono troppo occupate a combattere nei loro propri modi, e per le loro proprie cause.
Così è sbagliato credere che le ONG e i gruppi della società civile dovrebbero collettivamente prendere l’iniziativa nel presente contesto di diffuse apatia e inerzia pubbliche. È anche un modo auto-compiaciuto per il cittadino comune di guardare il problema, quando quello di cui abbiamo bisogno è che tutta la gente comprenda la gravità della situazione dell’ingiustizia globale e della degradazione ambientale. Rafforzate dal sostegno della gente, le ONG faranno sentire collettivamente la loro voce in modo così forte che i governi saranno costretti ad ascoltare i loro consigli e, in questo senso, il sostegno del pubblico simbolicamente rappresenterà il fatto che le ONG sono unite nei loro diversi obiettivi.
Parte II: Il CO2 interiore ed esterno
Come si spiega la mentalità di questi potenti leader e dirigenti aziendali che continuano a trarre vantaggio dalla crisi climatica o promuovere gli interessi industriali dei combustibili fossili, nonostante il crescente consenso dell’opinione della comunità scientifica che la maggioranza dei combustibili fossili deve essere lasciata nel terreno?
Quello a cui stiamo veramente assistendo, in un’ottica olistica, è una guerra in atto fra la vecchia era e la nuova, rappresentata da politiche di sinistra e di destra divergenti, o prospettive sempre più polarizzate tra coloro che hanno atteggiamenti fortemente progressivi e reazionari. Stiamo anche assistendo a crescenti divisioni sociali e conflitti globali, provocati da disuguaglianze estreme e in continuo peggioramento sia a livello nazionale che globale. Quindi dall’interno di questo caos di crisi e confusione in aumento, è difficile per il cittadino medio comprendere la mentalità di dirigenti aziendali miliardari, come i fratelli Koch, che non si fermano davanti a nulla pur di sostenere il loro impero industriale di combustibili fossili attraverso le attività di lobbying e la negazione del cambiamento climatico.
E colui che sta beneficiando dalla distruzione della terra non comprenderà mai la mentalità di quelli che stanno lottando contro di loro, come gli attivisti che si sono opposti al gasdotto Keystone XL o coloro che sostengono l’eliminazione dei combustibili fossili. Si sta avvicinando periodo in cui nessuno potrà rendersi conto della mentalità di coloro che traggono beneficio dalla crisi climatica di oggi, compresi i politici che professano di essere impegnati in un ambizioso accordo climatico mentre continuano a negoziare alle spalle del pubblico nuovi contratti con corporazioni inquinanti. Piuttosto che cercare di comprendere le intenzioni di questi individui egoisti che rappresentano i vecchi modi di un’era morente, faremmo meglio quindi a comprendere il pensiero degli attivisti ambientalisti che stanno lottando per il nostro futuro collettivo e quindi unirsi a loro presto.
Data la chiarezza dei motivi economici, ambientali e sociali per una transizione della società verso il 100% di energie rinnovabili e stili di vita meno dispendiosi di risorse, potrebbe infatti sembrare misterioso ad alcuni il motivo per cui i governi non attuino le politiche necessarie per gestire urgentemente la direzioni di questa grande trasformazione sociale. Sebbene pensatori progressisti possono spiegare questa mancanza di sufficiente azione politica in termini di restrizioni imposte dall’attuale sistema economico e dal predominio ideologico, c’è qualcosa di molto più profondo in atto dietro le quinte che non può essere ridotto ad un’analisi teorica della globalizzazione economico o del neoliberalismo.
In termini esoterici e spirituali, la realtà è che nuove forze di vita stanno entrando velocemente in scena, e i politici dell’establishment non hanno né l’intelligenza né la grazia di riconoscere che i vecchi modi competitivi, corrotti e assetati di potere del passato ora stanno per terminare. I sostenitori più estremi di questi vecchi modi parlano solo di rendere di nuovo grandi i loro paesi, continuando così ad impegnarsi nella lotta per il potere attraverso gli “ismi” della sinistra e della destra, il che alla fine ritarda l’espressione di buona volontà e cooperazione tra le nazioni. Come sempre, sono i poveri del mondo e l’ambiente che diventano i danni collaterali delle politiche create da questi atteggiamenti ignoranti.
Ahimè, è molto raro trovare uomini e donne saggi nella classe politica convenzionale di oggi, cioè coloro che sono consciamente o intuitivamente consapevoli che è arrivata l’ora per i politici di accettare le nuove forze entrate nel mondo che richiedono una trasformazione economica e politica basata sulla condivisione, sulla giustizia e sulle giuste relazioni umane. In definitiva, la causa alla radice del cambiamento climatico è una questione di coscienza o di consapevolezza, e questo problema è intimamente legato a tutte le crisi interconnesse che definiscono il nostro tempo, che sono di natura essenzialmente spirituale.
Sarà interessante esplorare più in dettaglio cosa intende dicendo che il cambiamento climatico è spirituale nella sua natura, e deriva dal problema della coscienza umana. A che serve ai pensatori progressisti e ai cittadini impegnati unire una comprensione spirituale della vita con i problemi politici, economici e ambientali? Questo sembra essere un tema principale del suo lavoro in corso, Studi sul Principio della Condivisione, che esamina i problemi dell’umanità dalle prospettive più spirituali o esoteriche.
Qui lei mi chiede di prendere una direzione completamente nuova in questa intervista, con un tipo di energia e dinamica molto diverse. Tuttavia sarò lieto di farlo perché la mia preoccupazione principale non è commentare i dettagli della politica nei negoziati del COP o degli altri vertici dell’ONU, ma piuttosto aiutare a istigare un’insurrezione globale della gente basata su una comprensione spirituale della nostra interconnessione, a cui spesso mi riferisco in termini dell’Una Umanità. L’intersezione tra politica e spiritualità è poco discussa o compresa nella maggior parte degli ambienti attivisti, anche se una consapevolezza della vita interiore è fondamentale se ci vogliamo rendere conto della realtà di come possa davvero realizzarsi una giusta transizione verso un sistema economico sostenibile.
Come abbiamo appena discusso, è improbabile che i sostenitori ideologici del vecchio modo politico di pensare, basato sul potere economico, sulla competizione e sull’acquisizione egoista di risorse, siano interessati agli insegnamenti su come trasformare il mondo attraverso la buona volontà di massa e una vera educazione basata sull’Auto-conoscenza. È arrivata l’ora in cui ai sostenitori intelligenti di un mondo migliore, e specialmente ai giovani, viene chiesto di voltare i problemi politici con una facoltà di percezione più olistica, inclusiva o spirituale radicata in una consapevolezza del cuore e dei suoi attributi.
Se siamo sinceri e interessati a comprendere le implicazioni spirituali più profonde della condivisione delle risorse del mondo, allora dobbiamo imparare ad adottare questa nuova comprensione del cuore nel nostro lavoro di advocacy e teorizzazione politica. Non significa che dobbiamo abbandonare le nostre diverse cause per la giustizia sociale e ambientale, oppure iniziare a leggere certe filosofie esoteriche parallelamente alle nostre attività politiche. Ci sono molti insegnamenti spirituali che varrebbe la pena leggere, ma si tratta più che altro di indagare personalmente sul significato delle giuste relazioni umane nel nostro mondo fatidicamente diviso e commercializzato. Questo può solo beneficiare le nostre attività attuali e approfondire la nostra comprensione di come la società debba cambiare. La questione principale per me è come le persone comuni di buona volontà possano cominciare a pensare diversamente, con questo diverso tipo di energia e una nuova consapevolezza della interdipendenza dell’umanità nel suo insieme.
Per quanto riguarda i problemi ambientali, possiamo visualizzarli come CO2 interno ed esterno, o le due diverse ma connesse forme d’inquinamento che minacciano la sostenibilità futura del nostro pianeta. L’inquinamento esterno è costantemente discusso in termini di atmosfera e di ambiente naturale, ma il problema più grande è l’inquinamento interiore che ha determinato le attività umane attraverso i millenni, culminando nella nostra attuale crisi di civiltà o spirituale. In altre parole, avidità, egoismo, ambizione smodata, arroganza, auto-compiacimento, indifferenza, pregiudizio, odio e così via - questi sono gli atteggiamenti e le intenzioni interiori che hanno modellato il nostro destino collettivo e continuano a sfociare negli effetti ambientali tragici che vediamo tutto intorno a noi. Il CO2 esterno non si verifica da solo ma è chiaramente la conseguenza del CO2 interiore che anima il nostro pensiero e le nostre azioni, dagli individui fino alle nazioni e agli organismi internazionali.
Perciò alla fine è impossibile realizzare un ambiente sicuro ed equilibrato combattendo esclusivamente contro le attività esterne delle grandi corporazioni e dei governi, quando i valori “interiori” predominanti della società rimangono largamente vincolati a preoccupazioni materialistiche ed egoistiche. Come possiamo limitare l’aumento della temperatura globale a meno di 1.5°C, quando la spinta per profitto, potere, ricchezza e lusso - espressi in pratica attraverso le intenzioni di innumerevoli milioni di individui - sta già spingendoci a surriscaldare il pianeta di 4 gradi e oltre? Eppure solo gli attivisti ambientalisti più maturi sono preoccupati della questione di come trasformare gli atteggiamenti interiori dell’umanità, in quanto solo adesso inizia ad essere rispecchiata, per esempio, nel pensiero della società civile l’importanza di lavorare con i nostri valori culturali per influenzare i cambiamenti sociali.
Quali benefici concreti possiamo trarre se cerchiamo di comprendere e agire su questa consapevolezza del “CO2 interiore” e dell’interdipendenza dell’umanità, particolarmente riguardo alla crisi ambientale globale?
Stavamo precedentemente parlando dell’apparente mistero dietro il motivo per cui i governi e le corporazioni principali non stanno intraprendendo un’azione molto più concertata per affrontare la crisi climatica, per esempio lasciando i combustibili fossili nel terreno e passando a un mondo che funziona con energia pulita. E abbiamo detto che per rispondere veramente a questa domanda, non possiamo limitarci alle spiegazioni “esterne” in termini di un’analisi sistemica di quello che è sbagliato con il capitalismo globale, e di come il sistema economico abbia bisogno di essere trasformato; dobbiamo anche valutare le cause interiori o psicologiche del problema e come l’uomo stesso abbia bisogno di cambiare.
Dovrebbe essere evidente, per chiunque sia in sintonia con la natura spirituale più profonda delle crisi globali, il valore di perseguire questa direzione di ricerca che ci richiede di imparare a vedere i problemi dell’umanità con una consapevolezza più olistica che connette al contempo sia il cuore che la mente. Tuttavia tenete presente per favore, che il cuore e i suoi attributi non sono mai complicati e possono solo essere compresi in termini semplici, il che spiega in parte perché la consapevolezza “interiore” dei problemi del mondo non riesce spesso ad attirare gli intellettuali e gli attivisti politici incalliti.
Se utilizziamo questo modo di pensare che coinvolge di più il cuore come descritto sopra, allora possiamo osservare che una transizione al 100 percento dell’energia rinnovabile e a un tenore di vita più semplice può essere raggiunto in modo sostenibile entro un periodo di tempo relativamente breve. Tuttavia non è una questione di presenza o assenza di volontà politica: più fondamentalmente, è una questione di quanto amore ci sia. Osservando tutte le intenzioni umane che si celano dietro le attività esterne attorno alla pesca industriale e all’agribusiness, ad esempio, o al disboscamento della foresta pluviale, alle miniere a cielo aperto e alle estrazioni minerarie delle cime delle montagne, ci si accorge che queste intenzioni non sono chiaramente motivate da un atteggiamento di amore o riverenza per la natura. Riguardano solo la mentalità del denaro e del profitto attraverso la conformità a un sistema economico basato sulle forze di mercato e su complessi incentivi finanziari.
Questa discussione sull’ “amore” non è per perdersi in idee sdolcinate su come dovremmo essere tutti buoni gli uni con gli altri e vivere in pace con la natura, poiché ciò che siamo veramente interessati a percepire sono le cause psicologiche sottostanti all’ingiustizia sociale e al degrado ambientale che provengono dall’interno della società disfunzionale. “Amore”, nel senso spirituale e psicologico più basilare, significa “non fare del male”, mentre l’intenzione stessa che ci spinge verso il denaro e il profitto è dannosa in tutte le direzioni, sia tra di noi che verso il mondo attorno a noi, e anche verso noi stessi.
Se i direttori aziendali di una massiccia operazione di sabbia bituminosa si avvicinano a una campagna bellissima e remota, ovviamente non distruggerebbero quest’ambiente naturale se fossero veramente motivati da un atteggiamento d’amore e di reverenza per tutto quello che esiste in questo mondo, preferendo cercare invece di fare qualcos’altro nella loro vita che può aiutare a guarire, piuttosto che esacerbare, il degrado ambientale. Se analizziamo la situazione con la consapevolezza interiore dei problemi del mondo, l’unico motivo per cui questi individui possono ricavare enormi profitti dalle loro attività è perché non conoscono se stessi o cosa hanno dentro di sé, cioè la vera realtà spirituale del Sè interiore perché in ultima analisi, è la mancanza di Auto-conoscenza e di consapevolezza che è alla base di tutti i nostri problemi.
Non mancano gli appelli affinché la gente esamini le crisi globali da un punto di vista umano e fondamentalmente spirituale. Lei potrebbe pero essere più chiaro riguardo ai benefici per gli attivisti o gli studiosi progressivi se dovessero adottare un modo di pensare che coinvolge di più il cuore in relazione alle loro varie attività e cause? Quale è il vero significato di questa direzione di ricerca per coloro che bramano e combattono per un mondo migliore?
Per aiutarla a rispondere a questa questione da solo, osservi ancora molto da vicino la frase “volontà politica” e se medita su essa per un po’, troverà che la frase stessa genera un senso di una mancanza di speranza e anche di disperazione, perché è avvolta nell’illusione che l’ordine presente delle cose sia immutabile e senza un’alternativa. Quando abbiamo discusso di come stiamo assistendo oggi a una guerra fra i modi vecchi e quelli nuovi, l’intera etimologia della frase “volontà politica” appartiene ai vecchi modi del periodo della Guerra Fredda, per risalire anche ai tempi di economisti classici come John Locke e Adam Smith. Significa intrinsecamente che il cambiamento avviene solo dall’alto, con azioni dei nostri leader politici e di chi ha con potere e influenza, i quali potrebbero sotto la pressione dell’opinione pubblica, fare alla fine un piccolo gesto conciliatore a scapito degli interessi delle élite.
Ora contrasti questa frase “volontà politica” con l’idea di “amore-in-azione”, e cerchi d’immaginare quello che questo significhi rispetto alla situazione critica del mondo. La seconda idea è per il futuro, per le forze nuove e le energie unificanti che stanno diffondendosi nel mondo, mentre l’altra rappresenta il vecchio ordine e le vecchie istituzioni che stanno ora rapidamente sgretolandosi in mezzo al caos delle nostre sistematiche crisi interconnesse. Quindi ciò di cui abbiamo più bisogno oggi non è la semplice “volontà” del governo di attuare le politiche necessarie, il che è equivalente a richiedere a questi politico-ragionieri che attualmente gestiscono le nostre nazioni di salvare il pianeta per nostro conto. Ciò di cui abbiamo bisogno è la manifestazione d’amore e saggezza nel mondo, perché se l’energia d’amore fosse il fattore motivante prevalente alla base delle azioni collettive dell’umanità, allora non ci sarebbero i politico-ragionieri e nemmeno gli attivisti politici. Ho scritto prima che l’ateo non può esistere senza la fede in Dio e, analogamente, l’attivista politico non può esistere senza l’assenza d’amore nel nostro mondo. [4]
Non sto suggerendo che l’attivismo politico sia in qualche modo inutile o fuorviato nelle sue forme attuali, anzi proprio il contrario alla luce del nostro crescente tumulto sociale e ambientale. Ma se vogliamo percepire per noi stessi cosa significa veramente “amore” su un pianeta con risorse abbondanti in cui milioni di persone stanno morendo in povertà, in cui il problema del cambiamento climatico che abbiamo causato sta raggiungendo un apice catastrofico, in cui il furto a sangue freddo e l’odio dilagano negli affari internazionali - allora abbiamo bisogno di impegnarci con la nostra innata consapevolezza compassionevole e il nostro buon senso intrinseco. Quello che stiamo osservando è così banale che è saggio, perché la verità del cuore è sempre disadorna e semplice. Oggi l’amore nel contesto dei problemi del mondo è strettamente correlato al bisogno di distacco; cioè, in questo riguardo, distacco dall’avidità, dall’egoismo, dai vecchi modi di competizione aggressiva, distruzione ambientale e furto legittimato.
Quindi per capire i benefici pratici dell’adozione questa prospettiva e consapevolezza interiori, dovremmo riflettere attentamente di nuovo su questa questione apparentemente misteriosa: cosa sta impedendo alla società di passare alle energie pulite e a un tenore di vita ambientalmente sostenibile e più equo in tutto il mondo, vista la rapidità con cui sarebbe possibile raggiungere questa transizione? La risposta vale al pena ripeterlo non è complicata in termini spirituali e psicologici - è semplicemente e sempre una mancanza d’amore. Senza la manifestazione d’amore in questo mondo, senza il risveglio del centro del cuore spirituale dell’umanità nel suo complesso, allora è impossibile proporre un ordine sociale più illuminato accettato e abbracciato dalla maggioranza della popolazione. Qualsiasi politica imposta dall’alto per limitare i livelli di consumo o per condividere le risorse incontrerà inevitabilmente resistenza, opposizione e, alla fine, rifiuto. E immaginiamo davvero che tali politiche saranno adottate e promulgate dai governi attuali?
A livello personale questa manifestazione d’amore ha una rilevanza estrema, se applichiamo questa direzione di ricerca alla questione della trasformazione sociale globale. Per esempio, quando le preparazioni per la guerra in Iraq sono comunicate nel 2003 in seguito alla tragedia delle Torri Gemelle, l’attenzione del mondo intero era focalizzata su quel singolo evento. Di che cosa ci sarà bisogno affinché il mondo intero si concentri sul pericolo del cambiamento climatico fuori controllo con lo stesso livello di ricettività e di sincera preoccupazione, perché sicuramente il problema ambientale avrà conseguenza più nefaste delle Torri Gemelle?Analogamente, dovremmo riflettere su cosa ci vorrà affinché la società focalizzi l’attenzione incessantemente sulla realtà della fame globale. Una crisi che va di pari passo con i problemi ambientali e potrebbe anche essere sicuramente risolta, se solo ci fosse abbastanza amore. È ancora più importante quindi questa consapevolezza interiore dei problemi mondiali alla luce del dilagante auto-compiacimento e indifferenza per cui così tante persone non vogliono che il loro comodo “modo di vita” venga disturbato.
Sembra che ci sia un numero crescente di individui e gruppi che riconosce il bisogno di una risposta più spirituale al problema del cambiamento climatico, basata su una nuova meta-narrativa della nostra interconnessione e un atteggiamento di gestione e di reverenza della natura. Può spiegare la sua opinione circa le origini della crisi globale ecologica dalla prospettiva interiore o spirituale che lei sta descrivendo in generale?
Da tanti secoli l’umanità vive attraverso le sue illusioni, e ora che queste illusioni stanno rapidamente dissolvendosi, l’intero mondo sembra essere confuso, disorientato e senza una chiara strada da percorrere. Molte delle credenze e dei credi che sostengono il vecchio modo di pensare vengono ora messe in discussione attraverso nuove scoperte scientifiche e antropologiche, se non attraverso il puro buon senso. Una di queste è la credenza culturalmente radicata che l’avidità e l’egoismo siano il fattore trainante nell’evoluzione umana, o che la competizione e la disuguaglianza siano l’ordine naturale della società, o che la guerra e la povertà siano un fatto inalterabile della vita. Tutti noi conosciamo le illusioni sostenute da queste credenze superate, anche se percepiamo la loro fallacia nella nostra esperienza di vita. Chi oggi dichiarerebbe così facilmente, ad esempio, che la ricchezza è la chiave della felicità, o che il potere e il successo sono la giusta ricompensa per duro lavoro, spirito competitivo e ambizione personale?
Eppure, in senso figurato, i politici e il mondo imprenditoriale agiscono come un’enorme unità industriale che fabbrica costantemente queste illusioni, al punto da sviluppare un’involontaria procedura sistemica per mantenere la realtà “come-al-solito”, cioè inventare costantemente nuove forme delle vecchie illusioni ogni volta che le forme esistenti non funzionano più. È istruttivo osservare da questo punto di vista, la concentrazione sulle tecnologie aziendali e le soluzioni basate sul mercato nell’affrontare il cambiamento climatico, come se potessimo risolvere la crisi climatica continuando a perseguire la stessa mentalità orientata al profitto, competitiva e materialistica che ha creato la crisi in primo luogo. Dalla prospettiva interiore, l’umanità è così condizionata dalle vecchie illusioni che ci rifiutiamo di comprendere che le crisi del mondo - come il massiccio afflusso di rifugiati e migranti in tutta Europa, i crescenti estremi di disuguaglianza all’interno dei paesi, o addirittura la crisi ambientale nella sua totalità - ci costringono ad aprire gli occhi ed a cambiare completamente tutto il nostro atteggiamento verso la vita. Ma l’umanità sembra essere così testarda che continua a cercare denaro, potere e successo anche quando il mondo sta scoppiando nel caos intorno a noi.
Alla base di tutte le nostre illusioni è la convinzione che l’uomo possa separarsi dall’ambiente, con la sua intenzione di avere il potere “sulla” natura manipolando le sue leggi e cercando di possederne i frutti distribuiti liberalmente, piuttosto che cercare di vivere semplicemente e armoniosamente nei suoi processi autoregolamentati. Ma questi poteri che l’uomo ha sviluppato sulla natura sono molto insignificanti, per quanto ci possa sembrare sorprendente la nostra capacità di “estrarre” ricchezza della terra e costruire enormi città splendide e lussuose. Anche le nostre tecnologie più sofisticate non vengono sviluppate lavorando “all’interno” del sistema naturale e quindi stanno tutte contribuendo direttamente o indirettamente alla lenta devastazione della Terra. A meno che non cambino completamente i loro atteggiamenti interiori, gli esseri umani stanno effettivamente scavandosi la fossa, perché la natura per se non è un’illusione e si rivolterà contro di noi, per lo meno così sembra.
Naturalmente la verità spirituale più profonda è che la natura non può cercare la vendetta contro l’umanità per le sue trasgressioni collettive, quando l’umanità è integrale al funzionamento equilibrato della natura. L’Uomo è la Vita, il punto intermedio integrale tra i regni spirituali superiore e inferiore della natura - animale, vegetale e minerale. Pertanto quando l’uomo cerca di dominare l’ambiente naturale e di sfruttare eccessivamente le sue risorse limitate, causando una scià di devastazione e sofferenza immensa, non si sta solo separando da tutto quello che esiste in natura, ma anche dalla realtà spirituale della Una Vita di cui è una parte indivisibile. Quindi non è il clima che ha bisogno di cambiare, ma solo l’uomo stesso percependo infine la portata delle sue illusioni e delle intenzioni sbagliate. In altre parole, dobbiamo imparare come conoscere noi stessi e lasciare le cose come sono, invece di cercare di piegare il mondo naturale alla nostra volontà errante in nome del profitto e delle grandi illusioni riguardo alle nostre capacità e al progresso tecnologico.
Non solo cerchiamo di dominare le leggi della natura, ma prevaricare la natura con la nostra identificazione quasi psicotica con illusioni sulla supremazia dell’uomo e sulla separazione dall’ambiente. Certi individui dispotici nella storia sono ben noti per la loro identificazione con illusioni arroganti di potere e grandezza personali, sebbene ora viviamo in un mondo dominato da enormi multinazionali che incarnano simili illusioni su una scala istituzionalizzata e persino più grande. Non ci sorprenderà quindi che queste vaste organizzazioni in cerca di profitto siano più pericolose nelle loro intenzioni, visto come possono influenzare leggi e politiche governative per raggiungere i loro fini. Va notato anche come questo sia l’obiettivo indiretto del sistema industriale di lobbying, marketing e pubblicità - ovvero creare e sostenere le illusioni della società per quanto dannosi i risultati per l’ambiente naturale e la crescita spirituale dell’uomo attraverso l’Auto-consapevolezza.
Per essere chiari, non è la nostra identificazione con idee, credenze o “ismi” di cui siamo preoccupati, ma l’identificazione diffusa nella nostra cultura con illusioni pericolose che stanno ritardando l’evoluzione spirituale dell’umanità nel suo complesso. Forse la nostra ricerca di conoscenza e potere sulla natura è iniziata con una sorta di innocenza nel periodo dell’Illuminismo e senza dubbio ci sono molti scienziati e tecnici di talento oggi che rimangono sinceramente intenzionati a conquistare il dominio sulla terra rivelando i segreti della natura. Questa mentalità è anche propagata attraverso l’intero edificio dei nostri sistemi scolastici, in cui anche coloro che ricevono un’istruzione d’élite sono effettivamente condizionati a spogliare il pianeta e calpestare altre persone nella loro ricerca di ricchezza, potere, stima o quello che considerano successo.
Ho discusso altrove di come coloro che ricevono una presunta “buona istruzione” stanno in fatti perpetuando la disastrosa tendenza sociale e ambientale di oggi, particolarmente quando vengono incoraggiati a raggiungere un alto status e quindi a conformarsi alle arti egoiste della commercializzazione.[5] Infatti, è il desiderio cieco di cercare profitti senza fine che è diventato il fattore dominante negli affari del mondo dagli anni ’80 in poi, portando a tali divisioni e distruzione che siamo infine costretti a confrontarci con la nostra incapacità di dominare l’ambiente naturale e di saccheggiare le sue risorse senza freni. Possiamo descrivere le forze combinate della commercializzazione come i fornitori della grande illusione dell’umanità che inganna tutti: dall’uomo comune che sogna di possedere una grande villa e macchine veloci come via alla felicità, ai lobbyisti aziendali a Capitol Hill e ai pianificatori di guerra del Pentagono che cercano potere e profitto in tutto il mondo, a qualunque costo.
Tutti noi siamo schiavi di queste forze in una certa misura e le sosteniamo conformandoci alle illusioni della società, anche quando l’ambiente è metaforicamente in ginocchio implorando pietà. Tuttavia, un ampio segmento dell’umanità è apparentemente ignaro degli effetti malvagi della commercializzazione dilagante, il che è un fatto che possiamo solo attribuire al formidabile potere delle illusioni. Se queste illusioni continuano a sopraffare la nostra coscienza collettiva, diventeranno come un gigantesco super-computer che gradualmente prende il sopravvento sulla nostra mente, finché non ci troviamo ad assistere all’eventuale inizio di una guerra mondiale nucleare. Per quanto possa sembrare inverosimile una tale prospettiva al momento attuale, vi prego di usare la vostra intuizione per meditare sulla destinazione finale a cui le illusioni della commercializzazione stanno conducendoci, poi vedete se potete contraddire questa osservazione.
Potrebbe essere utile chiarire cosa significa dire che noi tutti serviamo le forze della commercializzazione in una certa misura, e perciò siamo tutti parte di questa grande illusione. In quale maniera, come individui, sosteniamo l’ordine socioeconomico esistente del capitalismo globale. Come stiamo contribuendo all’eventuale prospettiva di una guerra globale fra stati-nazioni, il che potrebbe davvero sembrare inplausibile in questo nuovo millennio?
Molti di noi incolpiamo il governo, le corporazioni o “il sistema” per i problemi mondiali senza comprendere che siamo parte integrale di questo sistema e lo sosteniamo attraverso i nostri pensieri e azioni. L’istruzione e il condizionamento che abbiamo ricevuto, sia attraverso la scuola o l’ambiente sociale, stanno effettivamente addestrandoci ad essere consumatori arrendevoli che perpetuano il sistema nella sua forma attualmente distruttiva. Dovrebbe essere chiaro quindi comprendere la maniera in cui noi tutti serviamo le forze della commercializzazione.
Per esempio, consumando prodotti e servizi forniti da un mercato globalizzato indipendentemente dalle sue ingiuste organizzazioni strutturali, come la maggior parte della gente fa nella società occidentale e nelle parti ricche dei paesi in via di sviluppo, stiamo indirettamente partecipando a un sistema sfaccettato di sfruttamento e distruzione. Questo è un fatto che molte persone oggi riconoscono e capiscono, da cui è scaturito l’intero movimento del commercio equo, dei boicottaggi dei consumatori e del cosiddetto consumismo etico. Sicuramente la maggior parte delle persone istruite è ben consapevole che le multinazionali si impadroniscono della terra, distruggono le foreste pluviali, avvelenano i fiumi e inquinano l’ambiente, o sfruttano la forza lavoro usa e getta attraverso stipendi bassi, cattive condizioni di lavoro, e così via.
Potremmo incolpare i nostri governi di sostenere queste pratiche attraverso i vari sussidi, le agevolazioni fiscali e altri incentivi, e potremmo anche incolpare le grandi corporazioni che ci incantano a consumare tutte le miriadi di prodotti che vendono per profitti illimitati. Ma il fatto rimane che la stragrande maggioranza della gente comune è disposta a participare alla grande illusione della commercializzazione dilagante. Un numero sempre crescente di persone sostiene ed inasprisce i meccanismi ingiusti della economia globale attraverso i modelli quotidiani di consumo di massa, perciò l’illusione che si possa sostenere questo stile di vita viene perpetuata in un circolo vizioso, ripetendosi e peggiorando nelle sue tendenze ogni giorno che passa.
Per quanto cerchiamo di cancellare la realtà più profonda ponendo un’etichetta in cima alle nostre attività in termini di norme sociali o mode contemporanee, non c’è modo di negare il fatto che siamo tutti in qualche modo responsabili, per quanto indirettamente, della distruzione della natura e dello sfruttamento di altre persone attraverso la nostra conformità con l’attuale sistema economico spinto dal consumatore. L’ingordigia e il consumo sfrenati che circondano le nostre festività stagionali sono solo gli esempi più pertinenti di come la maggior parte di noi si conformi alla grande illusione, qualunque siano le nostre convinzioni politiche o le cause attiviste. [6]
Riesce a vedere come ci sia una equivalenza psicologica fra le nostre abitudini di consumo incurante e i nostri voti per i nuovi leader governativi, nel senso che consumiamo spesso ciecamente prodotti senza sapere o nemmeno preoccuparci delle loro origini, proprio come votiamo per i politici aspettandoci che risolvano i problemi mondiali per nostro conto? Sappiamo che le grandi catene di supermercati stanno sfruttando i piccoli agricoltori in tutto il mondo, il che significa che ogni volta che acquisto le verdure che producono, sto effettivamente votando per questo sfruttamento. E anche se non voto per un politico dell’establishment che entra in carica, sto ancora votando per loro indirettamente se mi conformo alla società che governano senza agire personalmente per cambiare le loro politiche.
Ci piace chiamare questo sistema “capitalismo” e incolparlo di tutti i problemi umani, ma è giunta l’ora di domandarci cosa significhi veramente capitalismo in questo mondo di violenza e crudeltà tremende. Tutte le sofferenze a cui assistiamo oggi intorno a noi sono davvero la colpa del capitalismo per se, o sono il risultato di un’enorme violenza provocata dall’uomo in tutte le direzioni - verso l’ambiente naturale, verso il regno animale, verso gli altri e verso noi stessi?
Se siamo in grado di percepire i problemi mondiali in questi termini più olistici e psicologici, allora potremmo accettare che il nostro attuale sistema socioeconomico basato sulla commercializzazione dilagante costituisca, di fatto, una guerra. Molti analisti parlano della possibilità che si verifichi una terza guerra mondiale a causa dell’aumento dei conflitti militari, ma in realtà la guerra più seria al Pianeta Terra si sta già verificando come risultato dell’accumulazione di avidità, egocentrismo e indifferenza esasperati dalla commercializzazione. È, in ultima analisi, una guerra contro la vita stessa, contro l’evoluzione spirituale dell’umanità, eppure quasi tutti, in misura maggiore o minore, stanno partecipando a questa guerra al rallentatore. Come possiamo allora attuare qualsiasi piano o struttura per un’economia globale sostenibile, quando il consumismo di massa e la commercializzazione sfrenata sono il fattore dominante negli affari mondiali - e quando noi stessi siamo partecipanti inconsapevoli di questa violenza autodistruttiva?
Tornando alle sue osservazioni iniziali circa le dimensioni spirituali delle crisi globali interconnesse che vengono raramente discusse nei circoli politici o attivisti, forse può spiegarci meglio quello che ha descritto come il “CO2 interiore”, cioè le origini più profonde dei problemi dell’umanità?
Malgrado i dati e prove acquisiamo circa i limiti ecologici, l’inquinamento atmosferico e lo sconvolgimento climatico, non abbiamo ancora imparato la lezione più elementare di come vivere e evolvere su questo pianeta senza disturbare gli elementi della natura. La verità ineluttabile è che la natura nel suo insieme è un essere vivente, come diversi scienziati e filosofi hanno a lungo ipotizzato. Non è solo il mondo materiale e obiettivo che l’uomo sta inquinando e distruggendo con le sue attività. Ci sono due mondi, visibile ed invisibile, ed è il lato nascosto della natura che ci stiamo rifiutando di ascoltare o riconoscere come realtà, nonostante tutti gli insegnamenti della Saggezza Antica dati all’umanità nel corso dei secoli. Proprio come non possiamo vedere il gas o la CO2 ad occhio nudo, ci sono innumerevoli entità invisibili all’interno della natura che esistono e devono ancora essere scientificamente provate, sebbene svolgano un ruolo vitale nel regolare e sostenere la nostra biosfera planetaria sia nella sua manifestazione microcosmica che macrocosmica. Quindi nella nostra ignoranza continuiamo a causare devastazione all’ambiente impedendo a questi elementi nascosti della natura di svolgere la loro funzione, il che è una conseguenza disastrosa della svolta sbagliata presa dall’uomo nel tentativo di avere potere sul suo ambiente.
Per fare un esempio importante, tanti scienziati ambientali oggi si concentrano sull’atmosfera terrestre e sulla sua interrelazione con altri sistemi naturali, ma pochi si preoccupano della quantità di rumore che l’umanità sta producendo a livello globale. Eppure dalla prospettiva psicologica o esoterica spirituale interiore che stiamo esplorando, l’incredibile rumore emesso da tutti i paesi del mondo ha un effetto estremamente deleterio sugli elementi nascosti della natura, che a sua volta ha un effetto deleterio sugli elementi come il vento, la pioggia, gli oceani e così via. Per percepire il motivo per cui l’accumulazione di tutto questo rumore è così dannosa per l’ambiente, basta solo ponderare gli effetti della sua origine - per esempio l’attività dell’industria manifatturiera pesante e delle industrie minerarie, i milioni di automobili, aerei e navi portacontainer in transit perpetuo, o l’incessante conflitto e la distruzione in atto nelle regioni dilaniate dalla guerra.
Ma non sono solo gli effetti esteriori di questa attività enormemente rumorosa che danneggiano l’ambiente, in quanto anche il rumore accumulato che l’umanità produce riflette come le società sono disfunzionali e disturbate, il che a sua volta è direttamente connesso con lo stato disfunzionale e disturbato dell’ambiente. Vivere in un mondo in cui ci sono così tante guerre, così tanto dolore e sofferenza, così tanta arroganza e sventatezza nella nostra distruzione l’un verso l’altro e verso i regni subumani - tutto questo tumulto si ripercuote in alto nella biosfera del pianeta e ha un effetto sugli elementi nascosti della natura. Il ben-noto principio Ermetico afferma “Come sopra, così sotto”, ma oggi questo assioma viene meglio compreso al contrario contemplando il triste stato del mondo; come è sotto, con tutto lo stress causato dai pensieri deleteri e dalle intenzioni sbagliate, così è sopra. In altre parole, la vita interiore dell’uomo è una causa dello squilibrio ambientale del nostro pianeta tanto quanto le attività esterne dell’uomo all’interno della società. La vita interiore dell’umanità è così disfunzionale che assomiglia quasi ad una malattia mentale ed emotiva.
Per fare un altro esempio, lei forse ricorderà come il popolo pakistano esultasse il giorno in cui la sua nazione ha creato una bomba nucleare, con alcune persone che stavano anche piangendo per strada, il che è solo una piccola indicazione di come l’intelligenza e l’emozione umane stiano andando nella direzione sbagliata. Vedi cosa è capace di fare l’orgoglio nazionale, potreste dire, quando la gente in generale è estasiata alla prospettiva di costruire un’arma che potrebbe uccidere molte migliaia di civili innocenti in un altro paese. E nel mezzo di queste celebrazioni il pianeta stava vivendo guerre e conflitti devastanti, il dolore di milioni di persone che soffrivano nella povertà, e tutti gli stress e le ansie della vita umana nella società moderna - tutto questo ce lo ritroviamo davanti rispecchiato attraverso disastri climatici e perturbazioni meteorologiche.
Ciò significa che i problemi nelle relazioni umane, dai conflitti tra individui e all’interno dei gruppi alle molte disuguaglianze e ingiustizie vissute in tutta la società nel suo insieme, sono una causa diretta dello squilibrio ambientale - quanto o anche più del danno che infliggiamo sull’ambiente attraverso le nostre attività industriali ed i comportamenti di consumo di massa?
Un’altra verità esoterica è che ogni problema nel mondo ha un suono o una nota corrispondenti, e oggi l’attrito di questi suoni viene rispecchiato attraverso l’imprevedibilità e il tumulto del cambiamento climatico e dei disastri naturali. Per comprenderlo in termini semplici, provate ad immaginare come il mondo intero sia in conflitto ad ogni livello, ed a ponderarne gli effetti sull’ambiente nel suo complesso. Se immaginiamo due persone che litigano violentemente davanti a noi, l’atmosfera che creano diventa parte del nostro clima interiore a livello psicologico, ed è importante esserne consapevoli tanto quanto il clima esterno che ci circonda. Psicologicamente e socialmente, il clima interiore in cui l’umanità opera è in uno stato disastroso e caotico, proprio come le condizioni esterne dell’ambiente sono ora in un costante stato di flusso e confusione.
Facciamo un ulteriore passo avanti nella nostra consapevolezza. Stavamo osservando in precedenza come la grande illusione della commercializzazione dilagante stia mascherando la realtà di una violenza tremenda, ma va sottolineato che tale violenza è di natura sia psicologica che sociale e economica. Perciò la persona che è sempre sotto stress, che è depressa dovendo fare per lunghe ore un lavoro manuale come se fosse una macchina, è veramente la vittima di una violenza sistemica più grande di quella che subisce psicologicamente. E l’effetto di questa violenza onnipresente ha un impatto profondo sugli elementi della natura, perché tutto è interconnesso e interdipendente fra l’uomo e il suo ambiente, dall’interiore all’esteriore.
Dunque la vendita di armi tra i governi è palesemente un atto di violenza, poiché cos’altro può essere? Ma allo stesso modo, l’esistenza stessa dei senza tetto nelle nostre strade non è solo un’ingiustizia sociale, ma anche un atto di violenza perpetuata indirettamente dai governi e dal resto della società. Se guardiamo questa realtà interiore più profondamente, con una comprensione dell’interconnessione psicologica e spirituale, il desiderio delle nazioni benestanti di diventare più “prospere” quando milioni di persone hanno fame nel mondo, quando a tanti milioni mancano gli essenziali di base della vita, questo pure è un atto di violenza. Quando il mondo Occidentale celebra il Natale attraverso il consumo eccessivo e la ghiottoneria mentre così tante persone stanno morendo di povertà in paesi lontani, questo pure è un atto di violenza indiretta. Il nostro auto-compiacimento collettivo è un atto di violenza inimmaginabile verso le innumerevoli persone sconosciute meno fortunate di noi stessi, senza contare le implicazioni per l’ambiente. Per noi queste forme di violenza sono diventate “ordinaria amministrazione”, parte della nostra vita quotidiana: l’accumulazione di questi atteggiamenti e comportamenti interiori è quello che vediamo intorno a noi. Il cambiamento climatico, la povertà estrema, guerre e conflitti - questo è il prodotto finale di ciò che otteniamo quando l’umanità ignora la necessità per le giuste relazione umane e vive in modo così disfunzionale da molti decenni, anzi da millenni.
Abbiamo ora raggiunto un punto in cui i comportamenti estenuanti dell’umanità hanno causato tali confusione e squilibrio nella società, che ora le condizioni meteorologiche su questo pianeta somigliano a una mente che è diventata troppo stressata per funzionare normalmente. È come se avessimo trasformato l’ambiente in un nemico, costringendolo a contrattaccare attraverso tutto il caos creato da tsunami, terremoti, inondazioni, siccità e altri disastri naturali. E questa confusione ambientale sta causando ancora maggior caos nella società, il che molti analisti predicono potrebbe condurre a ulteriori guerre tra le nazioni per le risorse naturali in diminuzione come l’acqua. Il comportamento dell’ambiente riflette il comportamento dell’uomo, e ciò che ora vediamo succedere è solo l’inizio. Quindi a meno che l’uomo non cambi completamente i suoi modi applicando il principio della condivisione negli affari mondiali, di nuovo possiamo prevedere che il pericolo maggiore per il futuro non sarà causato dal cambiamento climatico fuori controllo, ma solo dall’uomo stesso attraverso lo scatenamento della guerra globale che alla fine potrebbe distruggere tutta la vita sulla terra.
Ha appena fatto una previsione infausta - che se l’umanità continua lungo il corso attuale, non sarà il cambiamento climatico che alla fine porterà a una catastrofe planetaria ma piuttosto le nostre azioni come individui e nazioni. C’è anche una sottile ma tragica ironia in questa osservazione: molte persone oggi rimangono incuranti della grande illusione della commercializzazione che, come ha descritto, è la forza sistemica trainante dietro queste tendenze?
Non c’è dubbio che la maggior parte delle persone non comprende il grave pericolo della commercializzazione, allo stesso modo in cui la maggior parte delle persone non ha idea di quanto sia grave e complessa la realtà della crisi ambientale. Possiamo dividere l’umanità in quattro ampi gruppi riguardo a questo problema, vale a dire gli scienziati ambientali, i partecipanti e gli attivisti, i cittadini preoccupati e le masse rimanenti di persone comuni. La maggior parte dell’umanità che non è affatto coinvolta nel problema include diversi miliardi dei poveri nei paesi in via di sviluppo che lottano ogni giorno per nutrire se stessi e la loro famiglia. La maggior parte di loro comprensibilmente non ha né il tempo né la propensione a contemplare la realtà scientifica del riscaldamento globale, nonostante un numero crescente di tali persone sia la vittima innocente dei disastri climatici.
Nei paesi ricchi una percentuale significativa dei molti milioni di cittadini preoccupati è, in qualche misura, consapevole della crisi climatica, non hanno pero nemmeno idea dei fatti veri o della vera scala della sfida, e spesso riducono il problema a questioni personali di riciclaggio di prodotti casalinghi o di consumismo etico. Ma se sapessero la vera portata di quanto l’umanità abbia danneggiato e degradato il pianeta, o la vera minaccia stessa del pericolo delle temperature globali in aumento, allora molte lacrime verrebbero versate in tutto il mondo. Proprio come molti scienziati sono spesso spinti a versare lacrime dalla loro conoscenza di quanto allarmante sia lo stato dell’ambiente, l’intera umanità piangerebbe a lungo se potesse improvvisamente percepire quanto siamo vicini alla distruzione della nostra casa planetaria.
Eccola qui l’ironia tragica della nostra situazione, come ha giustamente dichiarato: la maggior parte dell’umanità è ancora più lontana dal percepire come la commercializzazione sia alla base dei nostri problemi odierni, che sono problemi di cui siamo tutti parte in varia misura. Il motivo per questa mancanza di consapevolezza può essere compreso in modo abbastanza semplice, vale a dire che i cuori dell’umanità non sono sufficientemente risvegliati o impegnati ad alleviare le crisi del mondo. Come ho detto ripetutamente, se un numero sufficiente di persone davvero percepisse la vera portata della crisi climatica e le sue cause interne create da noi stessi, non ci sarebbe solo una manciata di attivisti impegnati fra miliardi di altre persone. La mente di molti cittadini preoccupati potrebbe essere impegnata a risolvere questo problema, ma abbiamo bisogno dell’amore attivo e diretto di milioni su milioni di persone comuni. Abbiamo bisogno delle masse al nostro fianco, con il cuore acceso. Ed è l’auto-compiacimento della persona media di buona volontà a ridurre esiguo il numero dei manifestanti valorosi.
È sufficiente dire che la nostra mancanza di consapevolezza della vera scala della crisi ambientale è semplicemente dovuta alla mancanza d’amore o di “coinvolgimento del cuore” con i problemi mondiali, o possiamo comprendere meglio le cause di base del diffuso auto-compiacimento umano? Se possibile, potrebbe anche approfondire su alcuni dei fattori che rallentano la nostra consapevolezza del problema della commercializzazione dilagante, e della necessità di una drammatica e urgente trasformazione sociale?
Anche qui dobbiamo riflettere sulle illusioni che sostengono il nostro modo auto-compiaciuto di vivere, illusioni che ci dicono “la vita va avanti”, “sii felice”, “goditi la vita”, “vivi solo una volta”, “divertiti - te lo meriti”. Le forze della commercializzazione amano queste illusioni, sono come il profumo “dell’ordinaria amministrazione”, come musica per le orecchie degli interessi in cerca di profitto. E queste illusioni, queste fantasie che distraggono la nostra attenzione dalla realtà, hanno l’effetto di sopraffare il cuore. Potremmo tracciare un’analogia tra quello che rappresenta una malattia come il cancro o l’HIV per il corpo umano, e quello che rappresentano le illusioni per il cuore umano. Ricordate, il cuore è come un bambino - è molto innocente. E il cuore non parla né emette un suono a meno che non lo coinvolgiate, perché non c’è arroganza nel cuore, nessun calcolo o interesse personale. Solo la mente calcola e giudica, creando tutte le divisioni della vita quotidiana attraverso la nostra identificazione con la personalità, con il grande “Io”. Ma la personalità non è il cuore, e il cuore sicuramente non è la personalità.
È spesso difficile delucidare queste concezioni d’amore e d’illusione in relazione alla questione della trasformazione sociale, poiché possiamo solo percepire e vivere la realtà spirituale del cuore attraverso la consapevolezza interiore, e non attraverso i libri o solo una comprensione intellettuale. Ma se riflettete su questa questione nella maniera che vi propongo, vedrete che ci sono due componenti principali che formano gli atteggiamenti delusi dell’auto-compiacimento e dell’indifferenza nella società benestante - la prima è la paura, e la seconda è l’illusione necessaria per pacificare questa paura. Prendete l’illusione, ad esempio, che possiamo essere felici indipendentemente in una società divisa e disfunzionale come la nostra, e quindi osservate la corrispondente paura della solitudine, di non essere riconosciuti come una persona di “successo” nella vita, della vuota irrevocabilità della morte stessa. La nostra costante ricerca della sicurezza è la motivazione inconscia alla base del nostro desiderio egoista di felicità, che ha le sue radici invariabilmente nella paura. Nel senso spirituale più ampio, la paura è il bagaglio che ha frenato l’evoluzione umana per migliaia di anni, come un asino legato a una ruota del mulino che gira all’infinito in tondo.
E il risultato di queste abituali tendenze psicologiche è quello che lei ha definito come la mancanza del coinvolgimento del cuore con i problemi mondiali, perché la maggior parte della gente è troppo invischiata nella sua crociata alla ricerca della felicita e del successo personali per comprendere la verità della “grande illusione” della commercializzazione, o finanche la verità di un mondo in crisi e confusione. I politici sono confusi se non interamente corrotti, e noi come cittadini siamo equamente confusi riguardo la grave realtà della situazione mondiale, perciò i ciechi conducono i ciechi. Eppure votiamo ancora per i nuovi politici nelle massicce e esorbitanti campagne elettorali, perché l’umanità continua ad amare le sue vecchie illusioni, specialmente quelle che portano con loro un senso di continuità o permanenza attraverso le tradizioni.
Dovremmo considerare il nostro auto-compiacimento collettivo come un grave pericolo per il mondo alla pari della minaccia della commercializzazione, poiché non dobbiamo dimenticare che l’auto-compiacimento è nato molto tempo prima che venissero alla luce l’impresa capitalistica o la globalizzazione economica. E quando l’auto-compiacimento si fonde con l’indifferenza individuale o sociale, potremmo descriverlo come una della più vecchie malattie conosciute dall’umanità, più malefica nella sua influenza delle forze della commercializzazione di oggi. È meraviglioso come l’umanità sia motivata a scoprire i vaccini per malattie orribili come Zika o Ebola, ma dobbiamo ancora cominciare a ricercare una cura per il nostro auto-compiacimento endemico sicuramente alla radice della sofferenza del mondo.
In questa luce, è molto curioso osservare come la commercializzazione sia già una grave guerra per se, una guerra contro l’umanità e la sua evoluzione spirituale, eppure il meccanismo della commercializzazione è così raffinato ed elusivo che molte persone non possono vedere la realtà della guerra, oppure la confondono con il consumismo. Sia il consumismo che la commercializzazione dipendono e si nutrono per l’uno d’altro continuare ad esistere; ma sono le forze della commercializzazione che oliano gli ingranaggi della distruzione planetaria a cui contribuiamo tutti noi oggi. Proprio come consumiamo cibo, abbigliamento economico e tutto il bagaglio della vita moderna, così consumiamo l’idea stessa di diventare individualmente felici in una società divisa e ecologicamente insostenibile, fino a quando non siamo intrappolati in una vita che ruota intorno alla nostra ricerca della sicurezza psicologica attraverso legami materiali ed emotivi. È una trappola molto subdola propostaci dalle forze della commercializzazione. Una che tocca inconsciamente ogni individuo manipolando i nostri corpi sottili e emotivi, in cui la commercializzazione risiede come un fenomeno psicologico, trattenendoci attraverso una fitta nebbia di confusione che impedisce alla mente di funzionare chiaramente e con consapevolezza, perciò di vedere la realtà come è. L’umanità è così simile a una mandria nella vita quotidiana che molti di noi non riescono affatto a percepire l’esistenza perniciosa della commercializzazione, mentre la maggior parte dei politici dell’establishment e coloro che hanno avuto successo finanziariamente sostengono naturalmente un’ideologia delle forze di mercato senza domandarsi quali siano le sue conseguenze distruttive.
Aggiungete a questa comprensione il problema degli “ismi” deleteri nella coscienza umana, e potremmo avere un quadro abbastanza completo del motivo per cui siamo tutti partecipanti inconsapevoli nelle crisi del nostro tempo. La commercializzazione si nutre degli ismi e delle ideologie tanto quanto delle illusioni della società, anche se questi ismi hanno molte migliaia di anni. Possiamo anche osservare il funzionamento di questo meccanismo in termini olistici, poiché è la lotta degli ismi in tutte le loro espressioni principali che perpetua la dinamica della commercializzazione, sia che riguardi il capitalismo, il socialismo, il nazionalismo, o qualsiasi altro ismo o ismo religioso su cui si fondano il nostro pensiero e le nostre azioni.
Ad esempio, quando un gruppo o una nazione lotta con un lato opposto per motivi nazionalistici o ideologici, ci sono sempre ingenti somme di denaro e risorse coinvolte, per esempio per la creazione e l’acquisto di materiale bellico. E più le armi da guerra vengono acquistate e vendute, più profitti vengono ricavati attraverso una concorrenza disfunzionale portata dalle forze di mercato, il che intensifica complessivamente il potere e la portata della commercializzazione in tutto il mondo. I ricchi diventano ancora più ricchi, mentre i poveri continuano a soffrire per l’impoverimento e gli spostamenti causati dalle guerre civili e dai conflitti regionali. Allo stesso tempo, le nazioni in competizione sono costantemente spinte ad aumentare il loro controllo sulle risorse mondiali, dando sempre la priorità alla crescita economica e ai profitti aziendali prima di tutte le preoccupazioni sociali e ambientali.
Potremmo usare innumerevoli esempi per illustrare questo circolo vizioso della commercializzazione, sostenuta largamente dalle divisioni preesistenti tra i popoli e le nazioni che hanno origine nella nostra aderenza agli ismi contrastanti. C’è anche un fenomeno particolare che sta accadendo in tutto il mondo oggi, per cui certi ismi hanno bisogno della commercializzazione per propagare le loro cause e gli scopi deleteri. Per esempio, molti gruppi religiosi terroristi impiegano strategie finanziarie moderne per accrescere potere e raggio d’azione, spesso con l’aiuto nascosto di ditte subdole e di interessi statali. Più generalmente, siamo tutti in varia misura coinvolti nel problema degli ismi che sono sempre di più in balia delle forze della commercializzazione, compreso il problema del razzismo messo in secondo piano dal processo dell’integrazione economica globale negli ultimi decenni. Anche il razzismo è una forma di ismo, naturalmente, sempre diffuso nella società moderna malgrado i benefici commerciali derivanti dalla manodopera a basso costo all’estero o dall’immigrazione meno limitata in regioni come l’Unione Europea.
Speriamo che queste brevi osservazioni possano aiutarvi a percepire come la commercializzazione sia molto più che una semplice attività commerciale o attività orientata al profitto. È invece un’espressione molto antica di queste forze della materialità che sono sottilmente rientrate nelle nostre vene per intensificare il caos e la distruzione perpetuati dall’umanità nel suo insieme, da tutti i lati e in tutte le direzioni. La commercializzazione cerca di distruggere la terra e ostacolare la nostra crescita spirituale attraverso la spinta al consumismo di massa; confonde e soggioga subliminalmente il cittadino comune propagando le illusioni della scelta del consumatore, della felicità personale e del conforto materiale; e infiltra abilmente gli ismi della coscienza umana per creare più guerre in nome di ideologie ingannevoli. È un drago dai mille volti, alcuni percettibili altri oscuri. Ed è costituita da una moltitudine di forze diverse, che nel loro insieme sostengono la più grande di tutte le illusioni della razza umana - vale a dire, l’illusione che l’umanità possa continuare a vivere in un sistema mondiale così diviso, ingiusto e auto-distruttivo. Se osserviamo i meccanismi psicologici che la commercializzazione usa per raggiungere i suoi obiettivi, vediamo che sono letteralmente il male puro.
Un’obiezione che potrebbe sorgere ad alcuni lettori è se gli attivisti progressisti ed i cittadini impegnati siano loro stessi parte della confusione di massa, della mancanza di consapevolezza, e dell’auto-compiacimento e dell’indifferenza che Lei descrive, specialmente rispetto al problema ambientale. Gli attivisti non sono consapevoli della vera portata di questa crisi, e spesso impegnati con il cuore nella lotta per portare a un mondo giusto e sostenibile?
Dei quattro gruppi di persone che ho menzionato prima in termini della nostra consapevolezza globale circa il problema ambientale, è interessante notare che sia stata forgiata una collaborazione informale tra gli scienziati ambientali e gli attivisti, entrambi consapevoli della scoraggiante scala delle sfide che ci attendono, entrambi bisognosi l’uno dell’altro di fronte a tutto ciò che ostacola il cambiamento - cioè l’intero sistema di politica egoista, i governi in mano alle corporazioni, l’inerzia prevalente e l’auto-compiacimento della gente comune. Quindi se parliamo in termini spirituali dell’amore e della consapevolezza, allora gli attivisti e gli scienziati risvegliati coinvolgono certamente gli attributi del cuore più di chiunque altro su questo problema, e li esprimono in termini di maturità e di responsabilità come ho detto in precedenza.
I molti gruppi di attivisti ambientali, nel loro insieme, sono veramente i rappresentanti energetici della buona volontà umana in relazione a questi problemi. Ma ecco il paradosso: stanno lottando insieme contro un sistema complesso che non permette all’amore di fiorire in risposta alla crisi ambientale. È quindi comprensibile che molti attivisti siano diventati induriti di cuore e amareggiati dall’ingiustizia del sistema a cui si oppongono. Dopotutto, stanno lavorando per conto dell’intera popolazione, stanno rappresentando il bene comune dell’intera umanità, eppure la popolazione non li sta sostenendo a sua volta attraverso le massicce manifestazioni e l’impegno costante con il problema del cambiamento climatico. Quindi che Dio benedica gli attivisti del mondo in tutte loro forme progressiste, perché senza di loro forse nemmeno l’idea della “giustizia ambientale” sarebbe mai venuta alla luce nella nostra consapevolezza.
Per favore quindi sappiate che non è mia intenzione criticare alcun attivista di qualunque persuasione politica o ideologica. Potrebbe però essere utile vedere ciò che manca dall’attivismo globale per cercare di intuire più chiaramente i nuovi modi di coinvolgere il cuore. È possibile che ci sia un tipo di attivismo completamente diverso che possiamo perseguire con un numero di persone senza precedenti, basato sull’idea di unione, di libertà, di un approccio che non crei divisioni nelle relazioni umane al di là degli ismi e dell’ideologia? Sfortunatamente, ciò che troviamo è che molti attivisti attualmente adottano una posizione anticapitalista, anche nelle campagne ambientali e nei circoli accademici in cui la sfida è persino inquadrata in termini di “capitalismo contro clima”. Questo potrebbe essere comprensibile fino a un certo punto considerando l’immensità delle forze che ci si oppongono, ma è un grave errore credere che siamo in qualche modo liberi dal capitalismo noi stessi, quando in realtà siamo tutti parte costituente del funzionamento e dei processi del sistema - un punto che spero sia stato chiarito nella nostra precedente discussione.
Dunque è impossibile opporsi al capitalismo quando ciò implica che siamo separati dai problemi nella società, e questa erroneo ragionamento crea un ulteriore “ismo” in se stesso che è ugualmente una parte del problema. Questo è un tema su cui ho scritto molte volte prima, basti dire che non c’è amore in questa comprensione - è solo cerebrale. Il problema non è il capitalismo, non è il neoliberismo, non è il conservatorismo o il libertarismo - il problema è la mancanza d’amore e di giuste relazioni umane nel nostro mondo. E le forze della commercializzazione sono al centro di questo problema oggi attraverso il loro condizionamento pernicioso per cui la gente consuma, cerca il successo, vive materialisticamente e con indifferenza verso gli altri.
Tutte le nostre complicate analisi che circondano i vari “ismi” dovranno sparire un giorno, se tutte le persone e nazioni riusciranno infine ad imparare a vivere semplicemente in pace ed armonia l’un con l’altro. Eppure in un periodo troppo intellettuale come questo, pochi attivisti hanno scelto di osservare i nostri problemi attraverso la consapevolezza interiore di un cuore impegnato, invece di utilizzare il principio del capitalismo in modo così mal concepito e fanatico. È come il termine “Dio” che è pronunciato in contesti molti diversi, perfino dicendo “Dio lo vuole” quando uccidiamo altre persone. Allo stesso modo, il termine capitalismo è stato abusato e sminuito per tanti motivi, anche dagli attivisti che erroneamente suppongono che il capitalismo sia da incolpare per i problemi della società, quasi come se una teoria o un’ideologia possa agire indipendentemente dal pensiero e delle azioni umane. Possiamo almeno essere precisi nella nostra condanna e comprendere che c’è veramente una guerra in atto, una guerra di forze e energie violente, più correttamente definita commercializzazione. E quali sono i fattori trainanti dietro questi processi sistemici malefici? Ancora una volta dovremmo osservare le intenzioni umane fuorviate e i comportamenti dannosi di cui siamo tutti responsabili, ma alla base di tutto ciò è il nostro senso di separazione l’un dall’altro e dal mondo naturale.
C’è un ulteriore pericolo quando ci identifichiamo con una posizione anticapitalista, cioè con la natura di un sistema così potente da poter facilmente marginalizzare o sopraffare coloro che ci si oppongono? Questo è un altro dei temi principali nei suoi scritti, in cui propone il bisogno di una nuova forma di attivismo globale che coinvolge masse di persone comuni unite in una richiesta unisona affinché i governi integrino completamente il principio della condivisione nelle politiche economiche globali. [7]
Una breve risposta a questa domanda è il buon senso, e non abbiamo bisogno di adottare ulteriori teorie intellettuali complesse che servono solo ad oscurare la nostra consapevolezza interiore della semplice strada verso la trasformazione planetaria. Una proporzione significativa degli attivisti che lavorano sui problemi ambientali e sulla giustizia sociale sembrano opporsi al sistema attuale, ma proviamo ad immaginare cosa accadrà se masse di persone comuni si uniranno a loro con lo stesso atteggiamento? Sono le multinazionali che controllano i governi, che godono della protezione della polizia e delle altre autorità, che hanno il potere di plasmare leggi e politiche a loro favore; quindi chi pensiamo vincerà se i manifestanti cercano di cambiare le cose attraverso l’antagonismo e l’opposizione di massa all’establishment? Più andate contro qualsiasi individuo o istituzione, più è naturale che prendano tutte le misure necessarie per proteggere loro stessi. E nel caso di multinazionali e governi che hanno il portere di creare nuove leggi, vediamo già le conseguenze funeste delle tendenze attuali attraverso le rivelazioni sulla sorveglianza globale.
Certamente non tutti gli attivisti adottano la mentalità degli’ “anti” e degli “ismi”, e c’è un nuovo fenomeno nel mondo oggi: i giovani pionieri che stanno diventando più impegnati, più consapevoli del bisogno di un cambiamento radicale negli atteggiamenti pubblici e nelle politiche governative. Sono davvero la speranza del mondo, sebbene sia sempre più difficile per loro muoversi in società eccessivamente commercializzate in cui tutti sono stressati e confusi, in cui tutto viene privatizzato e ridotto a valore di mercato. Come sappiamo, molti dei giovani sono pesantemente indebitati per via dei costi universitari, molti milioni sono disoccupati e pochi possono permettersi una casa decente. Eppure sono principalmente loro quelli che possono mostrarci come inaugurare la nuova era per l’umanità, qualunque sia il significato di questo termine. Sentiamo spesso questi termini “la nuova era” o “l’era dell’Acquario” usato dai gruppi spirituali, ma preferisco parlare in un linguaggio più semplice dell’era del cuore, o l’Era del Cuore, perché il cuore è sempre stato con noi e non ha bisogno di essere re-etichettato. Inoltre, se vogliamo inaugurare una nuova era, non c’è altro modo di farlo se non impegnando collettivamente il nostro cuore.
Questo è uno dei motivi per cui il principio della condivisione è di una importanza così critica in questo momento. In senso metaforico è come una fontana di latte da cui tutti gli attivisti di ogni settore speciale possono bere, elevandoci e unendoci nelle nostre varie battaglie. Il principio della condivisione è fatto di buon senso, d’amore e della volontà di far bene agli altri. Questo è quello per cui tutti gli attivisti lottano in modi diversi, anche se inconsciamente, che dalla prospettiva interiore o spirituale riguarda l’equilibrio e le relazioni umane. Potremmo dire che è la madre di tutti gli attributi del cuore.
Parte III: Dimostrando l'amore-in-azione
Precedentemente in questa intervista Lei ha spiegato come gli ambientalisti stanno iniziando ad abbracciare il principio della condivisione nel loro lavoro di advocacy (patrocinio), ma cosa significa incorporare la prospettiva interiore sulla condivisone nell’attivismo ambientale? In altre parole, come sapremo quando gli attivisti stanno “coinvolgendo il cuore” e dimostrando “l’amore-in-azione”?
Gli attivisti ambientali non dovrebbero smettere quello che stanno facendo o andare in una direzione completamente diversa, poiché si tratta di pensare all’aspetto interiore dei problemi mondiali mentre continuiamo a perseguire le nostre diverse cause. Questo significa principalmente, come ho discusso nel libro Annunciando l”articolo 25, che è possibile per noi sostenere la fine irrevocabile della fame mondiale allo stesso tempo in cui chiediamo ai governi di affrontare il cambiamento climatico, o qualsiasi altra causa sosteniamo.[8] Il significato interiore o spirituale di base della crisi ambientale è che ha espanso la coscienza umana a livello planetario, il che significa che milioni di persone non pensano solo alla salute dell’ambiente nei propri paesi o comunità, ma anche dell’ambiente a livello globale, dell’atmosfera e biosfera globali che appartengono a tutti noi. È ora diventato quasi di moda fare sfoggio delle proprie preoccupazioni ambientali, mentre la consapevolezza globale della realtà della fame e della povertà endemica è, in confronto, maledettamente quasi dimenticata.
Eppure se possiamo organizzare grandi manifestazioni per l’ambiente, perché non possiamo organizzare massicce proteste per richiedere che i governi agiscano, come mai fatto prima, per nutrire gli affamati e aiutare tutti coloro che soffrono di malattie curabili, milioni di persone che muoiono, come sappiamo bene, invano di cause legate alla povertà ogni anno? Non voglio ripetere gli stessi ragionamenti che ho fatto prima, ma la nostra consapevolezza dei problemi mondiali è così frammentata che è difficile parlare a molti ambientalisti riguardo alla crisi della fame e della povertà del mondo, il che significa che l’ambientalismo sta soccombendo a un’altra illusione o un altro “ismo” di sua propria creazione.
Sentiamo spesso gli ambientalisti che parlano apertamente per conto dei bambini delle generazioni future ma chi si preoccupa dei bambini di questa generazione che muoiono di fame come conseguenza della negligenza governativa pubblicamente sanzionata? Sostengo che questi bambini stanno infatti morendo come conseguenza del CO2 interiore che pervade questo pianeta, che si rivela principalmente attraverso il nostro auto-compiacimento, l’ignoranza e l’indifferenza collettivi. Da un punto di vista più concreto e umano, i bambini delle comunità povere non sono anche loro i nostri bambini, quelli per cui dovremmo lottare per prendercene cura e proteggerli? Il tipo di mentalità che pensa solo al “mio bambino” o al “mio futuro” nelle ricche nazioni privilegiate è, in sé stesso, il peggior inquinamento che esiste in relazione alle giuste relazioni umane. È veramente un modo squilibrato e illuso di pensare, lontano dalla comprensione dell’amore-in-azione o dalla vera consapevolezza del cuore.
In precedenza ho fatto un’osservazione sul pericolo che i politici accantonino l’ambiente in caso di un’altra crisi finanziaria globale, ma ora che milioni di persone sono focalizzati sulla minaccia del cambiamento climatico, è come se avessimo accantonato la crisi perenne della fame globale. Possiamo davvero credere che sia un atteggiamento sano preoccuparsi del benessere dei nostri pronipoti quando la nostra famiglia ha già più del necessario, rispetto a migliaia di bambini che stanno morendo ogni settimana a causa dell’estrema povertà? Per quanto mascheriamo questi sentimenti con opinioni esperte sul riscaldamento globale, è ancora la stessa mentalità della persona auto-compiaciuta che dice “c’è sempre stata fame, e sempre ci sarà”. E fintanto che questa mentalità continuerà a persistere in un’ampia fascia della popolazione mondiale, ci saranno sempre coloro che diranno in risposta alla crisi climatica: “Beh, a chi importa alla fin fine perché siamo tutti spacciati in un modo o nell’altro”.
Ci sono anche molti attivisti climatici che di primo piano non menzionano la crisi della fame e della povertà globali, come se si preoccupassero più di abbassare le temperature medie globali che nutrire i poveri morenti del mondo. Perciò sostengono in pratica gli interessi di coloro che vivono nelle ricche società moderne, non il bene comune nel suo complesso, quello di Una Umanità. Ecco perché, per quanto mi riguarda, le principali autorità spirituali su questo tema sono Willy Brandt e Papa Francesco rispettivamente, come possiamo vedere nel Rapporto Brandt e nella recente enciclica Laudato si’.
Nel terzo capitolo di Annunciando l’Articolo 25, Lei postula che “non possiamo mai affrontare il cambiamento climatico o la crisi ambientale senza rimediare anche all’ingiustizia della povertà in mezzo all’abbondanza, perché è qui che inizia la soluzione ai nostri molteplici problemi ecologici”. Lei potrebbe riassumere il suo ragionamento?
Esorterei i lettori a contemplare da soli questo ragionamento, ma il messaggio essenziale è che le manifestazioni costanti sono l’unico modo per riorientare la situazione critica del mondo attraverso una massiccia espressione d’unità fra milioni di persone in tutti i paesi. L’Articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Unami - che postula che ogni uomo, donna e bambino dovrebbero avere accesso alle necessità di base - è veramente una grande guida per le masse di persone comuni verso la giustizia e la libertà, considerando i cambiamenti prodigiosi che l’attuazione dell’Articolo 25 auspica negli affari politici ed economici globali.
Ciò è particolarmente vero rispetto alle Nazioni Unite che dovremmo considerare come un’organizzazione che appartiene alla gente del mondo, non agli interessi aziendali o alle maggiori potenze rappresentate nel Consiglio di Sicurezza. In questo modo, enormi e costanti proteste in tutto il mondo incentrate sui diritti umani dell’Articolo 25 potrebbero portare ad un programma di ridistribuzione d’emergenza per porre fine alla fame e alla povertà estreme come principale priorità internazionale. Cioè, in sostanza, l’accesso a ulteriori cambiamenti strutturali dell’economia mondiale che sono necessari per affrontare le nostre crisi di sicurezza e ambientali più a lungo termine.
Chiunque può comprendere e seguire la breve logica che propongo nel libro, il cui nocciolo è la comprensione del problema della commercializzazione come abbiamo discusso a lungo in questa intervista. Senza incessanti attività di protesta fatte da milioni se non miliardi di persone, di continuo per molti mesi e persino anni, le forze della commercializzazione che dominano le nostre istituzioni politiche e economiche continueranno a intensificare le tendenze mondiali verso ulteriori catastrofi e tumulti.
Nel contesto attuale, è impossibile che le nazioni possano attuare un programma ambizioso per limitare le emissioni globali di carbonio, per porre fine alla fame permanentemente, perfino per condividere l’onere di affrontare la crisi dei profughi. Ma una volta che i governi si impegnano a condividere le risorse globali per porre fine, in pochi anni, alla vergognosa situazione della povertà che uccide rimangono molti altri problemi la cui soluzione richiederà la cooperazione e la condivisione tra le nazioni - compresi i problemi relativi alla lotta al cambiamento climatico e al risanamento dell’ambiente. Nel libro uso un semplice ragionamento deduttivo per spiegare questa indiscutibile logica, che include il fastidioso e annoso problema di come stabilizzare e invertire eventualmente il livello della popolazione mondiale assicurando permanentemente i diritti socioeconomici di base di ogni persona.
Tuttavia, questa non è un’altra teoria del cambiamento che cerco di promuovere, siccome queste sono domande concrete e umane che non richiedono qualsiasi teoria o “ismo” per comprenderle. La soluzione ai problemi mondiali come quella che propongo è sorprendentemente semplice nella sua concettualizzazione, ma le domande più profonde riguardano cosa accadrà se milioni di persone protestano continuamente con un singolo obiettivo e uno scopo unificato. Queste sono le domande che ci riportano alla linea di ricerca “interiore” sulla nostra mancanza d’amore e di consapevolezza del cuore. Se possiamo immaginare manifestazioni senza fine focalizzate sul trasferimento di poteri alle Nazioni Unite per sovrintendere all’attuazione dell’Articolo 25 in tutti i paesi, allora questo avrà l’effetto di portare milioni di persone a una maggiore consapevolezza, per vedere più chiaramente la realtà della situazione critica del mondo.
Dobbiamo arrivare alla comprensione collettiva che tutti i problemi a cui stiamo assistendo oggi, tutte le miserie, divisione e odio, sono dovuti al fatto che non siamo riusciti a condividere le risorse del mondo dalla creazione delle Nazioni Unite, e continuiamo ad andare a capofitto nella direzione sbagliata. Non è l’Articolo 25 che è la soluzione ai problemi mondiali in questo senso, ma il risveglio del cuore umano su scala planetaria attraverso la consapevolezza, l’unione e l’amore, e attraverso la comprensione che dobbiamo attuare il principio della condivisione negli affari mondiali prima che sia troppo tardi.
Se abbastanza persone arrivano a questa comprensione gioiosa ed ottimista, allora possiamo immaginare come la nostra consapevolezza collettiva si espanderà fino a comprendere la connessione fra le crisi interconnesse del mondo. Una volta che la maggior parte dell’umanità si concentra senza riserve sulla soluzione del problema della fame e della povertà, allora potremo percepire più facilmente l’ingiustizia che sta alla base dei nostri problemi ambientali in termini di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, in termini del furto legittimato e della distruzione causati dalle multinazionali. Col passare del tempo, milioni di persone comuni arriveranno a mettere in discussione l’ossessione nella nostra società per i beni materiali e il consumo dispendioso, e cercheranno invece di vivere più semplicemente senza lottare costantemente per diventare ricchi e avere successo.
Avrà anche un effetto tremendo sui nostri sistemi scolastici e anche le nostre istituzioni culturali e sociali; infatti, assicurare i bisogni di base di tutti alla fine avrà l’effetto di migliorare e giovare tutti gli aspetti dell’impresa umana. Riassumo solo brevemente l’immensa e straordinaria trasformazione che accadrà nella nostra società se attuiamo finalmente l’Articolo 25 nel corso di una generazione, il che senza dubbio sarà un processo difficile e lungo anche se la maggior parte del mondo sostiene questa causa formidabile.
Lei ha appena accennato a un problema significativo che ha solo trattato di passaggio finora, cioè come possiamo effettivamente attuare uno stile di vita meno dispendioso di risorse nei paesi ricchi e raggiungere un tenore di vita più equo fra tutti i paesi e all’interno di ciascuno di essi. Sebbene Lei abbia brevemente affrontato questo problema da un punto di vista esoterico o “esteriore” nella prima parte di questa intervista, rimangono molte domande su come possiamo giungere a questi cambiamenti necessari nei nostri atteggiamenti e nei comportamenti nella moderna società consumista. È questo un tema che può solo essere davvero compreso dalla prospettiva interiore o psicologica, in termini del cambiamento nella coscienza umana o l’espansione della nostra consapevolezza collettiva?
È vero che pochi pensatori progressivi esaminano la politica di questa domanda da una prospettiva più olistica, spirituale o psicologica, che è l’unico modo in cui possiamo percepire una vera risposta. La prima cosa da comprendere è che, affinché un popolo viva più semplicemente ed equamente all’interno dei limiti biofisici della terra, è necessario ridurre l’incidenza di stress e depressione in tutto il mondo nel suo insieme. Un’enorme percentuale dell’umanità soffre di stress a causa della tensione di vita in una società disfunzionale con le sue divisioni e i conflitti senza fine. Il risultato di tutto questo stress è la paura in ogni sua forma: la paura degli altri, la paura del cambiamento, la paura della vita, la paura stessa di essere. E non possiamo aspettarci che una persona che soffre di stress, depressione e paura viva più semplicemente, quando ciò esige libertà e distacco interiore.
Se osserviamo attentamente qualcuno che soffre di stress e depressione, notiamo che la loro tendenza psicologica è quella di provare a ricercare un senso di sicurezza interiore attraverso legami di natura sia materiale sia emotiva - il che è chiaramente il contrario del perseguire consapevolmente una vita libera e semplice. Una delle cure del tormentato modo di vita prevalente oggi è attraverso la costante e amorevole attenzione a tutte le aree dell’attività quotidiana - riecco il nostro problema: come possiamo controbilanciare lo stress della società quando all’intero mondo manca l’amore, manca la spiritualità, manca anche la conoscenza della libertà interiore? Da qui l’assurdità della nostra situazione, perché ci viene negata la possibilità stessa di vivere semplicemente quando ciò è l’unica soluzione duratura ai nostri problemi comuni. Nelle scuole di Krishnamurti, per esempio, molti insegnanti si sono lamentati di come i loro allievi hanno imparato a perseguire una vita semplice e intelligente con i giusti valori e mezzi di sostentamento, fino a quando non finiscono la loro istruzione ed entrano in una società disfunzionale che non sa quasi nulla di quello che significa vivere intelligentemente, amorevolmente e con consapevolezza.
Inoltre, come conseguenza della paura di essere, va notato che molte persone cercano di diventare più sicure psicologicamente lottando contro la società con tutte le sue ineguaglianze, perciò i molti “ismi” e ideologie vengono costantemente rinvigoriti e ricercati come rifugio. Ciò è un tema molto importante su cui tutti faremmo bene a riflettere per noi stessi in generale. Oggi non è solo la paura di essere che impedisce a molte persone di cambiare interiormente, ma anche la paura di perdere i loro ismi, o quelle idee familiari che formano una parte integrale della loro identità, soprattutto religiosa, politica o culturale. Seguire questa linea di indagine interiore potrebbe aiutare anche a spiegare il motivo per cui la confusione di massa dei nostri tempi è così grave e debilitante, poiché quando la confusione diventa un’epidemia globale diminuisce significativamente la creatività nell’umanità, il che impedisce ulteriormente che avvengano cambiamenti trasformativi necessari nella società.
Un altro aspetto importante di questo problema da contemplare è quello che non possiamo semplificare il nostro stile di vita in blocco senza provare la gioia di vivere, eppure non può esistere nessuna gioia in una società disfunzionale così ineguale e ingiusta, e così confusa e corrotta dai politici ignoranti. Ci sono due tipi di vita gioiosa che possiamo in linea di massima discernere e differenziare. La prima deriva dai piaceri superficiali e dalle illusioni della commercializzazione, che nel suo insieme è la più grande di tutte le illusioni come abbiamo appena detto. Ma l’altra gioia di vivere, la vera e spirituale joie de vivre, è sconosciuta a quasi tutti oggi, poiché può solo diventare visibile e rivelare la sua natura una volta che il principio della condivisione viene integrato completamente negli affari economici e politici globali.
È come se questi due opposti modi di vivere si annullassero l’uno con l’altro, e oggi la gioia illusoria di vivere proposta dalle forze della commercializzazione è quella che l’umanità è stata spinta inconsciamente ad adottare. Quindi la gioia di vivere offerta dal cuore attraverso la compassione, attraverso la consapevolezza, attraverso il riconoscimento gioioso che siamo tutti uno, che siamo tutti uguali ed essenzialmente gli stessi nella nostra fratellanza e nell’amore, è un modo di vivere offuscato dal consumismo di massa e non è in gran parte sentito nelle nostre attività quotidiane. Avvertiamo solo i più deboli bagliori di questo modo gioioso di essere nelle nostre varie espressioni di condivisione e solidarietà a livello comunitario, o nei campi improvvisati di pacifiche proteste di massa come Occupy Wall Street o Tahrir Square nel 2011.
Questo significa che un modo di vita più semplice e più gioioso nella società del benessere può avvenire solo attraverso l’attuazione dell’Articolo 25 in tutto il mondo, il che è un tema che Lei ha introdotto in “Annunciando l’Articolo 25” senza espandere dettagliatamente?
Se si può seguire quello che dico, non solo intellettualmente ma anche attraverso la consapevolezza del cuore, allora si può comprendere che vivere semplicemente è davvero qualcosa di speciale in questo mondo eccessivamente materialistico. È l’attuazione dell’Articolo 25 che mostrerà all’umanità come vivere più semplicemente secondo le possibilità del nostro pianeta. Non vi viene in mente che non possiamo mai vivere più semplicemente ed equamente nel nostro rispettivo tenore di vita in tutto il mondo, fintanto che milioni di persone muoiono invano ogni anno come conseguenza della fame e delle altre cause legate alla povertà?
Ci sono molte persone estremamente facoltose stanche di essere ricche nel loro ambiente segregato, proprio come ci sono molti milioni di poveri stanchi della loro lotta quotidiana per sopravvivere, ed è la prospettiva di garantire completamente l’Articolo 25 che può riunire e ridurre le tensioni causate dalle enormi discrepanze nel tenore di vita in tutto il mondo. In termini psicologici e spirituali, l’Articolo 25 rappresenta una base fenomenale di dignità e libertà e ci offre la possibilità di ridurre l’incidenza di avidità, disonestà e ambizione nei nostri atteggiamenti verso la vita e i rapporti umani, il che è il preludio al rilascio dell’amore e della consapevolezza necessari per semplificare i nostri vari modi dell’organizzazione sociale.
Dopo tutto, qual è la causa fondamentale del cambiamento climatico se non gli sfruttamenti causati dal perseguimento del profitto e del potere, perché è impossibile fare profitti su scala colossale senza sfruttare l’ambiente e le altere persone. Abbiamo osservato come i governi e le grandi corporazioni sono complici del mantenimento di questo ordine economico distruttivo, proprio come noi siamo complici di sostenere l’intero sistema attraverso i nostri modelli di consumo insostenibile. Ma sembra che quasi tutti vogliano consumare di più e aumentare il proprio tenore di vita relativo, compresi i milioni di poveri nei paesi in via di sviluppo che aspirano a godere di uno stile di vita iperconsumista come coloro che vivono in Europa occidentale o Nord America il che, come sappiamo, è disastrosamente insostenibile in termini di “Vivere su Un Pianeta”.
L’unico modo per vivere semplicemente in questa società è quello di allontanarsi dalla società o ritirarsi in una comunità isolata, ma questa non è la soluzione al problema globale del cambiamento climatico che molti scienziati credono abbia già oltrepassato alcuni punti di non ritorno irreversibili. Malgrado i possibili vantaggi che ne potremmo derivare, la vita più frugale in comunità autosufficienti è davvero solo una breve fuga perché, prima o poi, i problemi del mondo verranno a trovarci dovunque viviamo.
Ciò indica un altro dei significati spirituali del cambiamento climatico, cioè insegnare all’umanità che tutti i nostri problemi oggi sono problemi globali che richiedono un mondo unito per risolverli. È come se anche il clima ci stesse chiedendo di smettere di separarci dall’unita spirituale dell’umanità, il che significa che non possiamo mai realizzare un modo di vita più semplice e gioioso fino a quando abbastanza persone non impegnano il cuore per risolvere i problemi interconnessi di mettere fine alla povertà e di salvare l’ambiente.
Sembra che Lei dica che non è possibile avere un tenore di vita più semplice in tutto il mondo fino a quando l’attuazione dell’Articolo 25 non sarà una priorità negli affari mondiali, perché solo questo libererà sia la consapevolezza “interiore” della necessità che l’umanità cambi, sia i cambiamenti strutturali “esterni” nella società e nel sistema economico globale che devono essere basati sul principio della condivisione?
In qualunque modo vediamo questo problema, non possiamo andare avanti nel nostro pensiero e nelle proposte visionarie per una nuova società fino a quando non comprendiamo la necessità di attuare l’Articolo 25 come un insieme inviolabile di leggi in tutte le nazioni. Questa attuazione è la via d’accesso sia ai cambiamenti “interiori” dell’umanità sia ai cambiamenti “interiori” nella società che può portare alla fine a un’economia sostenibile che opera all’interno dei limiti planetari. Cos’altro pensiamo ci condurrà alla consapevolezza collettiva necessaria per sostenere le nuove leggi e le nuove pratiche economiche che impediscono lo sfruttamento eccessivo delle scarse risorse naturali? Quando tutti hanno i bisogni di base garantiti, quando le risorse sono distribuite più equamente in tutto il mondo, allora forse possiamo prevedere l’introduzione di una nuova governance internazionale che ci permetterà di proteggere l’ambiente e di vivere liberi dall’ingiustizia, realizzando la gioia di vivere più semplicemente “in modo che gli altri possano semplicemente vivere”.
Stiamo davvero parlando qui della fusione di capitalismo e di socialismo attraverso accordi economici interamente diversi a livello globale, per cui l’attuazione dell’Articolo 25 determinerà i futuri accordi commerciali fra le nazioni in modo che se un paese ha cibo in eccesso, per esempio, non cercherà di esportare questo cibo per profitto o di lasciarlo marcire in grandi magazzini mentre milioni di persone hanno fame altrove nel mondo. Come paradigma economico alternativo, qualsiasi nazione con un eccesso di prodotti rispetto ai suoi bisogni domestici potrebbe donarlo a qualche forma di fondo globale gestito da un’istituzione formata specialmente per questo scopo, per esempio una nuova agenzia specialista stabilita nelle Nazioni Unite, da cui può essere ridistribuito o scambiato con altri paesi che producono molto meno di una certa risorsa.
Si potremmo considerare questo come la vera modifica strutturale, quello che può permettere alla comunità di nazioni di produrre una sufficienza di beni e di prodotti cui tutti hanno il diritto di godere, senza esaurire la riserva limitata delle risorse non rinnovabili della terra. Ma come sarà possibile raggiungere questo obiettivo con la continua crescita esplosiva della popolazione mondiale, con le crescenti divergenze nel tenore di vita fra cittadini ricchi e poveri, e con il crescente consumo eccessivo delle risorse naturali già di gran lunga superiore alla biocapacità della terra?
Potremmo discutere senza fine dei dettagli di un sistema economico semplificato fondato sul principio della condivisione, ma il fatto è che nessuna riforma o nuova legge può essere introdotta in questo senso mentre l’umanità è così condizionata dalle forze della commercializzazione, dietro la quale si celano la ricerca onnicomprensiva del profitto e l’Interesse personale competitivo. Qual è il fattore psicologico che frena i beni comuni ambientali dal fiorire nella coscienza dell’umanità, se non la ricerca del profitto? E cosa impedisce che la tecnologia della fusione fredda diventi la base dell’energia gratis nella società, se non la ricerca del profitto? Se immaginiamo un futuro distante, con la consapevolezza della realtà interna o spirituale della vita, potremmo giungere alla conclusione che l’unica via per liberarci da questo secolare problema è inserire la pratica del baratto negli affari economici globali all’interno delle leggi di domanda e offerta. La ricerca del profitto è dannosa e stressante per l’uomo e la natura, come sappiamo, mentre la pratica del baratto si basa sulla tendenza contraria all’innocuità, alla semplicità e alle giuste relazioni umane.
C’è molto altro da dire su questo argomento, ma il punto che vorrei sottolineare è che sarà impossibile sostenere un nuovo modo di scambio economico come questo senza l’introduzione simultanea di una nuova istruzione basata sull’Auto-conoscenza. Questo è un enorme tema in sé che richiede un modo interamente diverso di vedere le nostre relazioni l’un con l’altro e con l’ambiente naturale. Ovviamente non parliamo di ritornare a un modo di vita più primitivo: ci sarà sempre un ruolo per l’innovazione e per la tecnologia nell’evoluzione della società umana, e non c’è nulla che può fermare la curiosità innata dell’uomo di conoscere il suo posto nell’universo. Il bisogno di un tenore di vita più semplice concerne anche molto più che la quantità e il tipo di risorse che consumiamo, perché c’è un arte di vivere semplicemente che implica la consapevolezza del Sé interiore nella nostra relazione al mondo esterno. Per favore tenete presente qui che un modo di vivere più semplice e più gioioso, impegnando di più il cuore non può essere imposto alla gente da nessuna autorità esterna, e deve essere coltivato nell’interiorità di ogni persona attraverso una consapevolezza interiore della propria intenzione di vivere senza far danno e con rispetto per tutti gli altri esseri viventi.
Potrebbe, se non le dispiace, elaborare queste ultime opinioni, in particolare l’idea che ci sia un arte di vivere semplicemente. Sta parlando dello stesso “Arte di Vivere” che John Stuart Mill ha previsto quando ha contemplato gli scopi finali del progresso industriale nel diciannovesimo secolo? O vivere più semplicemente come una forma d’arte ha un significato diverso che presumibilmente deve essere compreso in senso spirituale e non letterale?
Vivere è invero un’arte, nello stesso modo in cui un abile architetto può progettare un edificio semplice nella sua costruzione, frugale nel suo uso di risorse, eppure bello nella sua apparenza esterna. Oppure come l’artista che sa come mettere diversi colori nel loro posto giusto in modo che un dipinto sia visivamente accattivante e significativo, anche noi cerchiamo di mettere questa società nel suo giusto posto in modo che tutti abbiano quello di cui hanno bisogno per una vita dignitosa, creativa e gratificante che non causa nessun danno ed è orientata verso il servizio agli altri. Se crediamo che la nostra esistenza non sia solo stress e divisioni, se possiamo percepire che un modo di vivere diverso è possibile in cui tutti hanno la libertà e l’opportunità di esplorare la loro innata capacità creativa, allora possiamo intuire la verità che l’intera evoluzione umana è come un’arte scientifica in cui tutti noi abbiamo il nostro ruolo come co-creatori dell’Una Vita. Siamo tutti artisti della nostra creazione, interiore ed esteriore. Ed è impossibile “vivere semplicemente” senza l’Arte di Vivere, o l’Arte d’Essere come è più accuratamente espresso in termini spirituali.[9]
Possiamo anche osservare che, in questo periodo di caos e transizione planetaria in cui è quasi impossibile vivere semplicemente nelle varie manifestazioni della nostra vita quotidiana, e il primo passo per l’umanità è quello che potremmo chiamare l’arte del giusto pensiero. Questo è, dopotutto, quello che ci può far diventare artisti della nostra vita - diventando innanzitutto consapevoli della realtà spirituale della vita, e del bisogno che la famiglia delle nazioni cambi completamente atteggiamenti, comportamenti e intenzioni. Se mi identifico con l’idea di diventare un ricco “imprenditore” di successo, per esempio, allora ho maggiori probabilità di concentrarmi sulle opportunità di fare profitti e di accumulare ricchezza personale, più che occuparmi della viabilità dei parchi pubblici e delle riserve naturali protette, per non parlare della stabilità del sistema climatico della Terra. L’arte del giusto pensiero perciò riguarda le mie intenzioni originarie, che devono invariabilmente essere orientate verso il bene maggiore dell’umanità e del pianeta nel suo insieme.
Ci sono già molti artisti nel mondo, in questo senso, che si preoccupano di trasformare come l’umanità conduce i suoi affari nazionali e globali in modo da poter realizzare meglio il benessere collettivo di tutte le persone mentre ci muoviamo verso una società ecologicamente resistente. Se possiamo immaginare l’esistenza di gruppi progressisti della società civile e di agenzie umanitarie come rappresentanti di certe idee nobili rispetto alle giuste relazioni umane, allora l’arte del giusto pensiero riguarda l’attuazione di queste idee attraverso l’impegno di massa dei cittadini comuni. La fine alla povertà, un’economia sostenibile, un mondo pacifico e un’ambiente sano; tutte queste idee non andranno a buon fine fino a quando l’intera società non si unirà alle loro spalle, come abbiamo interamente constatato in questa discussione. Ed è l’adozione di queste idee da parte di tutt’umanità che espanderà la nostra coscienza come razza, rendendo la nostra vita più gioiosa e conducendo l’intelligenza umana a svilupparsi a un ritmo molto più veloce in linea con la nostra evoluzione spirituale.
Quindi la più grande malattia su questa terra è la separazione nelle sue forme sia esteriori sia esterni, e l’arte del giusto pensiero riguarda la fase iniziale della nostra trasformazione planetaria in comune. Non credo che dobbiamo preoccuparci troppo dell’arte di vivere più semplicemente in questo momento, poiché è molto più importante diventare consapevoli delle illusioni che ci stanno portando fuori strada dal percorso semplice delle giuste relazioni umane. Se vogliamo riflettere ulteriormente su queste domande spirituali prognostiche riguardo a cosa significhi vivere in una società più illuminata e impegnata con il cuore, suggerisco di iniziare diventando più consapevoli di come le crescenti tendenze della commercializzazione ci stanno portando nella direzione opposta. Riprendendo l’analogia dell’artista visuale, direi che è la commercializzazione che ci istruisce erroneamente, ci condiziona e ci impedisce di mettere tutti i colori nel loro giusto posto, fino a quando l’intelligenza umana applicata impropriamente non ci conduce all’auto-distruzione imminente, come ho detto tante volte.
Tutto ciò ci porta alla domanda di cosa possa risvegliare l’amore e la consapevolezza dell’umanità in misura sufficiente, per iniziare così il processo di trasformazione del mondo come Lei ha suggerito attraverso un massiccio impegno civico. È possibile prevedere il momento o la scintilla che potrebbe indicare l’inizio di questi cambiamenti interiori ed esteriori? Sembriamo ancora lontani dalla sua visione di milioni e milioni di persone che si uniscono attraverso manifestazioni costanti per una più equa condivisione delle risorse mondiali, e ciò potrebbe lasciare i lettori in un continuo senso di disperazione e confusione per quanto riguarda i problemi del mondo.
Se esaminiamo solo i problemi esterni dell’umanità allora ci troviamo davanti ad una tale complessità e così tanti fattori e variabili, che non possiamo trovare una risposta chiara su come risolvere i problemi del mondo. Ecco perché è utile meditare sull’aspetto interiore o spirituale dell’evoluzione umana che ci conduce all’intuizione più profonda, più semplice e più trasformazionale su come il mondo ha bisogno di cambiare. Da migliaia di anni, molti insegnanti saggi e pensatori profetici implorano l’uomo di guardare dentro di sé e di percepire il bisogno di cambiamento, eppure non siamo ancora riusciti ad imparare la lezione più basilare su come trattare l’un l’altro con gentilezza ed affetto, come condividere i prodotti della terra senza interesse personale, concorrenza e avidità.
Pensiamo che l’umanità abbia imparato qualcosa sulle giuste relazioni dopo tutti questi secoli di progresso tecnologico e sociale? Le nazioni hanno cercato e abbandonato molti “ismi” che hanno ispirato i nostri comportamenti sociali, abbiamo sofferto grandi guerre e molti secoli di colonialismo e imperialismo, eppure continuiamo ancora a competere aggressivamente alla vecchia maniera per il potere sulla scena mondiale, con tutte le conseguenti divisioni e disuguaglianze.
Quindi, secondo lei, cosa ci vorrà perché tutte le persone del mondo si rendano conto del fatto che siamo una Umanità, intrinsecamente uguali e interdipendenti all’interno della natura? Da un punto di vista interiore, non è la salvaguardia dell’Articolo 25 che contiene la soluzione ai nostri problemi, perché tutti i problemi del mondo sono interconnessi e provengono dalle stesse origini antropologiche, il che significa che c’è solo un problema e solo una soluzione alla fine. Il problema stesso è la soluzione che, nel senso spirituale e psicologico più fondamentale, può solo essere espresso, ancora una volta, come mancanza di amore. Diciamo che non possiamo mai trovare un vaccino per questa antica malattia che affligge l’umanità, poiché il cuore umano possiede gli anticorpi.
Sembra che dobbiamo ancora imparare a convivere senza creare nuove forme di condizionamento della mente, senza nasconderci dietro la maschera degli ”ismi” religiosi e politici, senza riprodurre i pregiudizi e gli odi seppelliti nella storia di ogni nazione. Tutto quello che possiamo dire alla fine è che le giuste relazioni umane sono la chiave per risolvere le nostre crisi sociali, economiche ed ambientali in tutti i loro aspetti, che nel contesto della nostra società disfunzionale significa che abbiamo bisogno di diffondere in tutto il mondo una quantità abbondante di amore e consapevolezza.
Ma fintantoché continueremo a votare gli stessi politici che sostengono i vecchi modi di orgoglio nazionale e prosperità individuale, fintantoché le azioni di protesta e le manifestazioni rimangono limitate ai pochi interessati, allora ci sono solo due prospettive per una rapida espansione della consapevolezza umana: o un intervento divino, o un crollo totale del sistema economico internazionale. Come ho scritto alla fine di Annunciando l’Articolo 25, sembra che sia necessaria una grande catastrofe per portarci a un senso della realtà, per interrompere completamente il nostro attuale modo di vita e tutto ciò che esiste alle sue spalle in termini psicologici - lo tsunami dell’ambizione personale, la spinta di milioni di persone ad essere ricchi e di successo, la ricerca individualista della felicità e della sicurezza. Un’altra crisi finanziaria globale, più grave e prolungata di qualsiasi altra esperienza vissuta dopo la Grande Depressione, avrà un effetto profondo su come pensiamo e organizziamo la nostra società. Dimostrerà, in senso simbolico, come l’umanità abbia raggiunto un punto che non può oltrepassare, e che non c’è modo di progredire senza una trasformazione completa degli atteggiamenti e dei comportamenti interiori che sostengono un ordine sociale basato su premesse sbagliate, su principi sbagliati.
Cos’altro può fermare la valanga del consumismo di massa e scuotere abbastanza persone dal loro auto-compiacimento? Ma arrivare a questo punto, quando è necessario che l’umanità viva una crisi economica assoluta, è davvero un segno patetico di quanto siamo caduti in basso all’inizio del ventunesimo secolo, al punto che non c’è fiducia tra le nazioni, nessun amore espresso nelle nostre istituzioni governative, e nessuna visione fra i leader politici di una via genuinamente cooperativa da seguire. Dobbiamo domandarci perché abbiamo perfino bisogno di massicce e costanti manifestazioni per risvegliare la sanità mentale negli affari globali, quando era sempre così semplice cambiare come viviamo e agiamo come esseri umani.
Lei ha brevemente menzionato in vari modi il significato e il simbolismo spirituali del cambiamento climatico; c’è qualcos’altro che vorrebbe dire sulle cause interiori e le conseguenze della crisi ambientale?
Questa è un’altra domanda importante su cui dovremmo personalmente riflettere ancora, perché se tutto in questo mondo è spirituale e l’uomo è la Vita, come ho affermato, allora questo significa che tutto quello che facciamo ha un effetto sull’ambiente intorno a noi, dalle azioni del singolo individuo a quello della collettività intera. Il caos nell’ambiente riflette il caos in noi stessi, e quindi la crisi del riscaldamento globale è la conseguenza diretta dei nostri pensieri e azioni amalgamati. Ciò che semini, raccoglierai, come è scritto nella Bibbia. Più semplice di così? Ma come civiltà non abbiamo compreso e accettato che nulla appartiene a nessuno, e perciò tocca a tutti noi distribuire equamente, amministrare e proteggere le risorse di questa terra. Una volta che impariamo e dimostriamo quel primo passo essenziale nella nostra vera umanità, nella nostra divinità condivisa, allora potremmo vedere come la natura ritornerà al suo equilibrio in un modo misterioso e persino miracoloso. L’uomo e la natura sono eternamente uno in termini spirituali ed evolutivi, quindi se la divisione è apportata dall’arroganza e dall’ignoranza dell’uomo nel corso di molti secoli, allora l’intera creazione va fuori equilibrio, un equilibrio che è stato naturalmente generato e sostenuto prima che l’uomo esistesse.
Era in questa luce che ho commentato alcuni dei grandi simbolismi rappresentati dal cambiamento climatico antropogenico, poiché riflette la crisi dell’umanità a ogni livello non solo economico e politico, ma anche psicologico, sociale e spirituale. Perciò non solo stiamo assistendo ad una crisi politica che compromette l’operazione delle nostre istituzioni governative, ma anche ad una crisi degli “ismi” che mette in discussione il nostro intero approccio al pensiero e all’azione umani. Allo stesso modo, non è solo potremmo presto attraversare una nuova crisi finanziaria globale, che richiede nuovi modi di organizzare l’economia, ma anche una crisi psico-socio-spirituale al suo apice che ci obbliga a rivalutare la natura stessa e lo scopo del nostro essere.
Tutti i vecchi ismi stanno crollando o si stanno cristallizzando, proprio come tutte le vecchie forme dei nostri sistemi economici e politici si stanno lentamente disfacendo o crollando. Da qui tutta la confusione fra le visioni contrastanti e polarizzate, la sinistra e la destra, i conservatori reazionari e i progressisti accaniti. Mentre l’umanità subisce una transizione dolorosa e caotica verso un mondo più sano, ci sembra di vivere in un’era di confusione di massa. E a seconda della nostra risposta alle multiple crisi che segnano questi tempi difficili, è possibile prevedere che questo periodo di confusione endemica sia destinato a intensificarsi negli anni a venire.
Come ho detto dall’inizio di questa intervista sulle cause interiori dei nostri problemi ambientali, il loro significato fondamentalmente è di offrire all’umanità una scelta ultima e inevitabile. O continuiamo a seguire le vecchie strade dell’egoismo e della competizione che porteranno alla fine all’auto-annientamento, o accettiamo le nuove forze e energie che dividono l’umanità in due lati opposti, conducendo ogni persona di buona volontà e benpensante verso una comprensione sempre più chiara: la nostra ultima speranza è condividere le risorse del mondo.
Entrambi i lati in questa lotta epica sono confusi e frustrati, non solo gli attivisti in tutti i campi di vita che lottano contro le corporazioni e i governi egoisti. Anche i fautori della commercializzazione non sanno che fare con queste nuove energie che possono intuire e in qualche modo percepire, per quanto oscuramente o inconsciamente, e dalle quali l’unica fonte di sollievo è la loro ambizione sia a livello personale che di arricchimento. Siamo tutti nella stessa barca quando si tratta della nostra confusione di massa indipendentemente da qualsiasi ismo di sinistra o destra a cui ci aggrappiamo, perché l’umanità sta maturando ora: il che, nel senso più simbolico, significa che siamo pronti alla fine ad accettare la verità della nostra divinità e dell’unità innata, oltre ogni interpretazione religiosa o teoretica di ciò che questi termini dovrebbero significare. È come se il clima non solo ci chiedesse di smettere di allontanarci dalla nostra unità e interconnessione spirituale, ma ci sta anche implorando di guardare noi stessi e di percepire come contribuiamo alle cause interiori delle crisi del mondo, perché questa è la nostra ultima opportunità per cambiare collettivamente dall’interno.
Per ricapitolare, Lei ha spiegato che la trasformazione globale non può avvenire solo attraverso le idee o il lavoro di advocacy di gruppi della società civile, per quanto ragionevoli e lodevoli siano le loro proposte: Può emergere solo in seguito a uno cambiamento della coscienza della maggior parte delle persone del mondo. E questa nuova coscienza e sincera consapevolezza avranno bisogno di essere espresse, innanzitutto, attraverso massicce proteste popolari che abbracciano l’urgenza morale, spirituale e pratica di garantire l’Articolo 25 per tutte le persone in tutti i paesi. Questa è la via d’accesso per rafforzare le Nazioni Unite e per inaugurare una nuova era di condivisione economica internazionale e cooperazione intergovernativa, come ha delineato con riferimento citando altri suoi scritti. Perciò piuttosto paradossalmente dalla prospettiva interiore o spirituale, questo significa che non ci può essere una soluzione duratura alla crisi ambientale a meno che non accettiamo anche il bisogno di porre fine urgentemente alla deprivazione materiale. Questa è la giusta conclusione del suo pensiero, o può chiarire o aggiungere altro?
L’intera forma-pensiero sulla crisi ecologica globale sta diventando sempre più cristallizzata ora, perché la sua controparte spirituale è appena menzionata nella maggior parte dei circoli attivisti e dei dibattiti popolari. Ho argomentato altrove che il cambiamento climatico è l’unico insegnante attualmente che sta lentamente unendo l’umanità intorno a un singolo problema, almeno in senso globale e simbolico.[10] Per renderci conto e veramente dimostrare che l’umanità è una famiglia interdipendente, non possiamo continuare ad ignorare l’Articolo 25 come una delle due principali priorità nella lotta per salvare il nostro pianeta. Dovrebbe essere sempre più ovvio per ogni cittadino o politico impegnato che la rapida salvaguardia dell’Articolo 25 - che richiede intrinsecamente una massiccia ridistribuzione delle risorse globali e una ristrutturazione totale della architettura economica internazionale - è assolutamente legata alle soluzioni per il cambiamento climatico. Perché se ci fosse anche un minimo di giustizia sociale in questo mondo attraverso una condivisione più equa delle risorse, se nessuna persona sulla terra continuasse a morire di fame o altre cause legate alla povertà, allora il clima non sarebbe in uno tale stato così squilibrato e caotico come oggi.
Come ho sottolineato, possiamo comprenderlo in modo logico e deduttivo in termini esterni o relativi alle politiche, basti vedere alcune delle riflessioni iniziali in questa intervista riguardo le proposte della società civile su come i governi dovrebbero affrontare la crisi climatica attraverso un quadro equo della condivisione degli sforzi. Ma per una comprensione reale e sincera dei problemi ambientali del mondo siamo chiamati ad impegnarci con la nostra consapevolezza interiore, la nostra intuizione, la nostra compassione e il nostro buon senso. È questo che dobbiamo fare se vogliamo percepire per noi stessi il significato della grande connessione fra gli elementi nascosti della natura e i pensieri e le azioni aggregati dell’umanità nel suo complesso. Forse non c’è un altro modo per risolvere i problemi del mondo a meno che una gran parte dell’umanità non riesca a impegnarsi innanzitutto con il cuore annunciando l’Articolo 25, il che potrebbe essere l’unica via per sfuggire dall’impasse sistemica causata dall’attuale paradigma basato sulla crescita economica. Uno paradigma che tutti noi, da complici, sosteniamo conformandoci alle forze della materialità e della commercializzazione.
Quindi credo che sia della massima importanza riflettere e prestare attenzione al significato interiore dell’attuazione del principio della condivisione negli affari mondiali. Ciò presenta effettivamente una certa difficoltà paradossale poiché ci richiede di esaminare questi problemi attraverso la consapevolezza del cuore, quando il cuore per se non può essere intellettualizzato. Pertanto è necessario riflettere ancora con rinnovata attenzione, interiormente e silenziosamente da soli, su come abbiamo bisogno di integrare il principio della condivisione nei nostri accordi economici globali in modo da poter ottenere la fiducia fra i popoli di nazioni diverse, il che ci permetterà di rilasciare gli attributi del cuore molto più facilmente e velocemente nei tempi a venire.
Ovviamente, le forze della commercializzazione si oppongono alla manifestazione dell’amore e della saggezza in questo mondo. Ma quando gli attributi del cuore vengono rilasciati su una scala senza precedenti, allora sorgerà un nuovo fenomeno nella società per mezzo del quale la creatività degli individui sarà tremendamente potenziata; le tensioni e gli stress nel mondo saranno drammaticamente diminuiti; la gioia di vivere diventerà una realtà tangibile e universale; perfino la guarigione delle malattie progredirà in modo più rapido, a causa della diminuzione della depressione e della sofferenza in tutte le sue forme.
In breve, l’attuazione del principio della condivisione fra le nazioni è la nostra più grande speranza e promessa di un mondo migliore, non ultimo per quanto riguarda la crisi ambientale, poiché porterà l’umanità ad andare in una direzione diversa, dall’interiore all’esteriore, dal centro del cuore spirituale alla mente consacrata, dalla nostra consapevolezza interiore della Vita all’equilibrio esterno del mondo intorno a noi. Queste sono delle domande imprescindibili che esplorerò in maggior dettaglio nel mio futuro lavoro Studi sul Principio della Condivisione.
La domanda finale, molte persone credono che l’umanità non abbia la capacità o la propensione a cambiare sulla scala richiesta, e stiamo quindi andando incontro ad un futuro distopico nel prossimo secolo. Lei personalmente spera che possiamo superare la grande transizione che ci aspetta a breve?
Ci sono tante ragioni per essere ottimisti. Molte persone hanno perso la speranza durante la Seconda Guerra Mondiale, eppure le potenze alleate hanno sconfitto le forze dell’oscurità come manifestatesi nei regimi totalitari di Germania, Italia e Giappone. Ora dobbiamo sconfiggere un’altra potenza oscura e formidabile: le forze della commercializzazione, come discusso in questa intervista, che hanno sempre più attanagliato ogni società attraverso un’ideologia estrema orientata al mercato che porta la nostra civiltà alla distruzione. Sembra quasi che abbiamo bisogno di un intervento divino per trascendere l’influenza coercitiva di queste forze in ogni aspetto della nostra vita, ma abbiamo già sconfitto una volta queste forze materialistiche, e possiamo sconfiggerle ancora. Se necessario, possiamo sconfiggerle 10 volte. Se ci sono le forze dell’oscurità su questa terra, allora ci devono sicuramente essere anche le forze della Luce. E staremo dalla parte delle forze della Luce ancora una volta, perché lo scopo della nostra esistenza è evolvere spiritualmente con dignità, uguaglianza e in libertà.
Quindi la mia risposta, a quelli che dubitano che ce la faremo è: c’è speranza, grande speranza, che l’umanità possa superare questa crisi epocale della nostra civiltà. Non abbiamo ancora assistito alla potenza della condivisione come fenomeno globale quando è espressa da milioni e milioni di persone attraverso il cuore con i suoi attributi dell’amore. E quando il principio della condivisione sarà veramente incorporato nelle politiche dei governi del mondo, allora inizieranno dei drammatici cambiamenti nelle nostre strutture politiche ed economiche con una rapidità che potrebbe coglierci di sorpresa. Potremmo così alla fine comprendere che la più grande maledizione per la natura, durante tutti questi secoli di sfruttamento e distruzione, è che l’umanità ha sempre rifiutato di riunirsi e di agire per conto del bene comune di tutti. Poiché la vita è Una, e l’uomo è la Vita stessa; non c’è niente altro da dire.
References
[1] Willy Brandt, Nord-Sud: Un programma per la sopravvivenza (Rapporto Brandt), Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, 1980
[2] “Al centro dell’accordo ci deve essere un’intesa fra il mondo ricco e il mondo in via di sviluppo su come condividere il peso della lotta al cambiamento climatico e come condividere questa nuova preziosa risorsa: il bilione circa di tonnellate di carbonio che possiamo emettere prima che il mercurio salga a livelli pericolosi.” Vedi l’editoriale completo: Copenhagen climate change conference: 'Fourteen days to seal history's judgment on this generation' (conferenza di Copenhagen sul cambiamento climatico: “quattordici giorni per consegnare il giudizio finale della storia su questa generazione”), The Guardian, 7th December 2009.
[3] Lettera enciclica, Laudato si’: Sulla cura della casa comune, Liberia Editrice Vaticana, maggio 2015.
[4] "Un discourso sugli ismi e il principio della condivisione", Share The World’s Resources, July 2014.
[5] Mohammed Sofiane Mesbahi, “Annunciando l’Articolo 25: Una strategia della gente comune per la trasformazione del mondo”, Troubador Publishing Ltd, 2016
[6] cf. “Natale, il sistema ed io”, Share The World’s Resources, dicembre 2013.
[7] Vedi per esempio: “Ribellati America, ribellati! Una lettera ad un attivista americano”, Share The World’s Resources, ottobre 2014; “Unire il popolo del mondo”, Share The World’s Resources, maggio 2014, Annunciando l’Articolo 25, op cit.
[8] “Annunciando l’Articolo 25”, op cit; vedi Perte lll: Il problema dell’ambiente.
[9] Questo tema è stato discusso anche in 'The true sharing economy: Inaugurating an Age of the Heart', Share The World's Resources, novembre 2016.
[10] ‘Heralding Article 25’, op cit, p. 65.
Mohammed Sofiane Mesbahi è il fondatore di STWR.
Intervisto da Adam Parsons.
Traduzione in italiano da Angelo Cappetta & Hodaka Murata.
Photo credit: optimarc, Shutterstock.